Riace. Trasferiti i migranti, il ministero strumentalizza una lettera del vicesindaco

Riace. Trasferiti i migranti, il ministero strumentalizza una lettera del vicesindaco

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RIACE. «Sono venuti qui in municipio, m’hanno detto di scrivere questo per velocizzare le pratiche e io l’ho fatto. Forse ho commesso una leggerezza». È furente Giuseppe Gervasi, il sindaco facente funzioni di Riace, dopo la sospensione prefettizia di Domenico Lucano per la nota vicenda giudiziaria. Ha la lettera in mano e punta il dito verso i carabinieri e i funzionari Sprar che gli avrebbero dato l’input per scrivere questa missiva, datata 29 ottobre e indirizzata al Viminale.

Nella lettera, che ha generato polemiche, si chiede «l’immediata attivazione delle procedure tendenti ad accompagnare la chiusura delle attività progettuali, evitando ulteriori problemi di ordine pubblico e di sicurezza». Ed è proprio questo il passaggio della discordia. Perché tra i «motivi di ordine pubblico e di sicurezza» ci sarebbero anche presunti «comportamenti violenti degli ospiti nei confronti degli operatori e verso cittadini del luogo». Gervasi rimarca che nessuno di questi comportamenti ha mai configurato fattispecie delittuose, «non c’è stata mai violenza fisica» ci rivela. Ma senza questa precisazione sui presunti motivi di sicurezza «dal Viminale non si sarebbero mossi per effettuare i trasferimenti». In effetti, la mancanza di fondi sufficienti per garantire i servizi essenziali «ha prodotto esasperazione e conflittualità» spiega Gervasi. «È chiaro che si perda la pazienza quando non sai cosa dar da mangiare ai tuoi figli. Ma se parlo di atteggiamento violento non mi riferisco a schiaffi: parlo di urla, di rabbia e più passano i giorni, più le cose diventano difficili e rischiano di diventare una bomba ad orologeria. E questo è un problema politico».Va da sé che questa lettera, che doveva rimanere riservata ad uso interno, il giorno dopo passava dagli uffici del ministero alla scrivania delle redazioni dei giornali della destra più aggressiva. «I migranti ci picchiano, stop all’accoglienza a Riace» titolava ieri in prima La Verità di Belpietro. «Questo articolo – sottolinea Gervasi – fa passare l’idea che la mia opinione sia simile a quella di Salvini. Ma io non la penso come lui, io la penso come Lucano. E credo che Riace debba riprendersi, ma non si possono lasciare le persone alla fame. Nella lettera volevo chiarire che vista la decisione di chiudere i progetti, considerata la situazione in cui versa Riace, che di certo non dipende dal sindaco Lucano o da me, è meglio velocizzare la chiusura del progetto, perché è normale che su 200 persone qualcuno, magari con figli a carico e disperato perché non sa come fare, alzi la voce per protestare. L’esasperazione è consequenziale a quanto ha fatto il ministero. Forse avrei dovuto usare altri termini nella lettera, ma mi è stato detto che senza questa comunicazione i trasferimenti sarebbero andati a rilento». La decisione di chiudere il progetto ha prodotto una stasi difficile da gestire. «Da quando è calata l’eco mediatica su Riace, mi sto facendo in quattro per fronteggiare l’emergenza. Ci hanno tutti lasciato soli. Chi ha espresso solidarietà a Riace venga a darci una mano, per davvero» conclude con rammarico. Ora i migranti stanno abbandonando il borgo jonico, rimarranno quelli non legati al progetto Sprar. Gli altri saranno collocati altrove. Molti in Sicilia, qualcuno resterà in Calabria, a Gioiosa e Roccabernarda.

All’appello di Gervasi risponde Filippo Sestito, della presidenza nazionale Arci, (un circolo Arci gestisce proprio lo Sprar di Roccabernarda): «C’è stato comunicato che solo un nucleo familiare sarà ospitato da noi. Accogliamo con gioia i migranti di Riace ma riteniamo che sia un ulteriore tentativo di smantellarne l’esperienza. Forse non ci si rende conto di cosa ha rappresentato e rappresenta. Sono centinaia le realtà che si stanno mobilitando per far si che l’opera di Lucano possa continuare a esistere e a essere esportata ovunque. E noi siamo pronti a fare la nostra parte, come sempre».

* Fonte: Silvio Messinetti, IL MANIFESTO



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