Primo sì al decreto sicurezza di Salvini, ma sindaci e associazioni minacciano la rivolta

Primo sì al decreto sicurezza di Salvini, ma sindaci e associazioni minacciano la rivolta

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Matteo Salvini esulta ma in realtà il ministro degli Interni ha pochi motivi per cantare vittoria. Certo, il decreto sicurezza al quale ha legato il suo nome alla fine è riuscito a passare al Senato grazie ai voti di una maggioranza che nonostante i dissidenti grillini, cresciuti nel frattempo da quattro a cinque, sarà anche tentennante ma per ora tiene. Per ora, appunto. Il problema è proprio questo. Perché se lo scontro in corso tra Lega e 5 Stelle sulla prescrizione non si risolverà presto, la prossima settimana, quando il provvedimento che riscrive le politiche sull’immigrazione arriverà alla Camera potrebbe scontrarsi con l’ostruzionismo dei pentastellati. Deciso a godersi il successo, Salvini ieri ha comunque voluto mostrarsi ottimista, e si è detto sicuro che il decreto passerà anche a Montecitorio.

Nonostante un’evidente freddezza tra alleati, ieri tutto è filato come da copione. Il decreto è passato con 163 voti a favore, dei quali non hanno facevano parte quelli dei senatori 5 Stelle Gregorio De Falco, Paola Nugnes, Elena Fattori, Matteo Mantero e Virginia La Murgia, usciti dall’aula al momento del voto. 59 i contrari (Pd, LeU e Svp) e 19 gli astenuti (FdI e Forza Italia). Appena il tempo di tirare le somme, e tra i 5 Stelle comincia la resa dei conti. Il capogruppo Stefano Patuanelli annuncia infatti di aver segnalato i cinque senatori dissidenti ai probiviri per la loro scelta di non essere presenti in aula. «Si tratta di un comportamento particolarmente grave, visto che si trattava di un voto di fiducia al governo», spiega Patuanelli. «Non ho fatto niente di male, per cosa dovei essere condannato?», replica De Falco.

Tra le norme licenziate ieri sono molte quelle che suscitano preoccupazione e critiche. A partire dall’abrogazione della protezione umanitaria, proseguendo con la decisione del governo di stilare una lista dei Paesi di origine sicuri per velocizzare l’esame delle richieste di asilo. Ma fa discutere anche la possibilità di prolungare fino a 30 giorni il trattenimento dei migranti negli hotspot per le procedure di identificazione e fino a 180 nei Centri per il rimpatrio. O, ancora, la drastica riduzione del sistema di accoglienza dei migranti. «Il decreto peggiora sia il livello dei diritti per i richiedenti asilo e rifugiati, che l’efficacia del sistema stesso», denuncia il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) Mario Morcone, che ricorda anche come una domanda di asilo possa essere respinta per il solo fatto di non essere stata presentata subito oppure perché a richiedere la protezione internazionale è una persona entrata illegalmente in Italia. Il centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati, è invece critico per la scelta del governo di procedere con un decreto e con il voto di fiducia, scelta che «rivela l’incapacità di uscire da una logica emergenziale».

Ma ad alzare la voce sono anche i sindaci italiani, preoccupati per le conseguenze che potrà avere sui territori la decisione di tagliare il Sistema Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, a favore di strutture più grandi dove concentrare i migranti. Scelta che, denuncia l’Anci, non farà altro che aumentare il numero degli immigrati irregolari (calcolati in 50 mila solo nel 2019) e dei costi sociali a carico delle amministrazioni. La tensione è tale che Virginio Merola, primo cittadino di Bologna, è a un passo dal chiamare i suoi colleghi alla rivolta: «Il decreto non prevede il parere dei Comuni su dove insediare i centri di accoglienza: sappiano che il mio sarà contrario – ha avvertito ieri Merola -. Se il testo del decreto sicurezza non cambia chiamerò a raccolta Comuni, associazioni e volontariato: un altro modo è già possibile».

* Fonte: Carlo Lania, IL MANIFESTO



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