by Andrea Colombo * | 14 Novembre 2018 9:51
Un vertice veloce con Giuseppe Conte, i due vicepremier, i ministri Tria e Fraccaro, poi di corsa il cdm per ratificare e inviare l’attesa risposta a Bruxelles. La novità principale, per non dire l’unica, è un aumento degli investimenti per il risanamento.
La annuncia Salvini un attimo prima del vertice e ci tiene a sottolineare che si tratta di una scelta autonoma, non di una concessione alle richieste dell’Europa. «C’è qualcosa da cambiare ma solo in base a quel che succede in Italia, ad esempio il maltempo. I danni rischiano di essere 5 miliardi. Dobbiamo mettere più soldi alla voce investimenti per il territorio». Prevista anche la dismissione di immobili per fare cassa e si è parlato di privatizzazioni. Ma per tutto il resto il governo insiste nella sfida: «Se all’Europa la manovra piace siamo contenti, sennò tiriamo diritto».
Le parole del capo leghista non sorprendono nessuno. Era già chiaro che non c’era alcuna suspense. Restano effettivamente in forse alcuni dettagli, o almeno elementi che potranno rivelarsi importanti in futuro ma che al momento non cambiano una virgola. In concreto, i 5S sono innervositi da quella clausola di garanzia per cui, se le previsioni sulla crescita del Pil si rivelassero sbagliate si rimetterebbe in discussione il reddito di cittadinanza e pretendono garanzie da Tria. Insomma, essendo l’obiettivo di un Pil all’1,5% molto vicino all’irrealizzabilità ed essendone tutti consapevoli è possibile che nel 2019 il «che fare» si riveli una bomba. Ma sono appunto faccende che riguardano un incerto futuro. Al momento la certezza è che le stime che arriveranno a Bruxelles sono quelle già bocciate dalla Commissione: deficit al 2,4%, crescita prevista all’1,5%.
Quest’ultimo punto poteva diventare oggetto di un nuovo braccio di ferro tra i due vicepremier, che ormai si fidano zero l’uno dell’altro, ma su questo fronte restano compatti, e il ministro dell’Economia. Nessun duello. Tria si è arreso subito e ha certificato la genuflessione con un comunicato diramato molte ore prima del vertice. Poche righe ma definitive: «Il tasso di crescita non si negozia».
Nessuno spostamento anche se ieri è arrivata una nuova bordata, stavolta dalle stime dell’Fmi: peggiori di quelle europee dal momento che prevedono una crescita dell’1% nei prossimi due anni destinata però a diminuire in seguito. Gli stimoli messi in campo dal governo, secondo il Fondo lasciano l’Italia in una situazione «molto vulnerabile». Significa che qualsiasi shock proveniente dall’esterno, ma anche da una crisi del sistema bancario, potrebbe essere fatale. Bruxelles per ora non parla, anche se fa trapelare i verbali di una riunione del collegio dei commissari del 10 ottobre scorso in cui veniva messo apertamente sul tavolo il tema della flessibilità concessa con troppa larghezza in passato. L’Italia non è nominata esplicitamente ma non c’è dubbio sul Paese a cui i commissari alludono quando si autocriticano per l’uso «improprio, estensivo, utilizzato per stabilizzare una situazione politica» della flessibilità.
La palla passa ora a Bruxelles e si tratta di un vero e proprio gioco al buio. La procedura d’infrazione è certissima, ma di cosa si tratterà in concreto non è affatto chiaro. In passato ci sono state infatti procedure per violazione dei parametri di Maastricht, mai però, sinora, per violazione delle regole del Fiscal Compact. Le sanzioni, in linea ipotetica, potrebbero essere molto più dure della multa di 4 miliardi sin qui messa nel conto dal governo italiano: da una richiesta di manovra aggiuntiva intorno ai 18 miliardi nei primi mesi dell’anno prossimo sino a quella, esorbitante ma sulla carta possibile, di un rientro del 5% del debito ogni anno per tre anni: un massacro.
Anche i tempi sono incerti. L’avvio della procedura è fissato per il 21 novembre, potrebbe essere posticipato di un paio di settimane e a quel punto slitterebbe anche il verdetto finale del consiglio previsto per fine gennaio. In ogni caso è difficile immaginare che lo stato di sospensione e attesa possa prolungarsi sino alle europee di maggio. La tensione sarà comunque sufficiente per tenere lo spread, stabilizzatosi ieri a 305 punti, in una zona tanto alta da rendere elevato il rischio per le banche, negli stessi primi mesi del prossimo anno.
* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO[1]
photo: Toufik-de-Planoise [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], from Wikimedia Commons
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