Nuove sanzioni USA contro l’Iran
Teheran risponde con esercitazioni militari. Rohani: «Vinceremo noi la guerra economica»
Questo secondo round di sanzioni a stelle e strisce volute dal presidente americano Donald Trump prende di mira il petrolio, le spedizioni e le transazioni finanziarie. A essere penalizzati sono i paesi che continuano a importare petrolio dall’Iran e le società che si ostineranno a fare affari con individui o entità inserire nella «lista nera» degli Usa. Otto paesi (tra cui l’Italia) godranno di un’esenzione di sei mesi e potranno ancora acquistare petrolio iraniano.
Il segretario di Stato Mike Pompeo e quello al Tesoro Steve Mnuchin hanno spiegato che le sanzioni resteranno in vigore finché Teheran non finirà di sostenere il terrorismo, rinuncerà al suo coinvolgimento militare in Siria e fermerà completamente i programmi nucleare e missilistico.
Al di là dell’oro nero, il simbolo di queste sanzioni è un bene di largo consumo. In questi giorni i quotidiani iraniani hanno messo in prima pagina la questione dei pannolini e dei pannoloni per donne, bambini e anziani: sono prodotti in Iran, ma le materie prime sono di importazione e i prezzi sono andati alle stelle, complice la svalutazione del rial che da marzo ha perso due terzi del suo valore nei confronti delle valute forti. C’è chi ne fa incetta e li vende al mercato nero, rischiando pene pesanti.
La notizia è rimbalzata sui social, dove una signora ha commentato: «I pannolini non sono come le auto costose: quando ha le mestruazioni, nessuna donna può farne a meno». E dalla casa per anziani e disabili di Kahrizak fanno sapere che non possono più permettersi i pannoloni usa e getta.
Con questo nuovo round di sanzioni, Trump cerca di indebolire i moderati, ovvero il presidente Hassan Rohani e il suo ministro degli Esteri Javad Zarif che hanno voluto l’accordo nucleare e rinunciato alla sovranità nucleare. In cambio, non hanno però ottenuto nulla: niente investimenti stranieri per rilanciare l’economia, né sdoganamento dell’Iran e dei suoi cittadini, che continuano ad avere difficoltà a muoversi in Occidente, alla perenne ricerca di un visto. Così facendo, il presidente statunitense aiuta i falchi di Teheran.
Avrebbe potuto imporre sanzioni all’Iran prendendo a pretesto il programma missilistico, o le violazioni dei diritti umani. I pretesti, nel caso della Repubblica islamica, non sarebbero mancati. E invece ha deciso di imporre sanzioni sul programma nucleare, smantellando l’accordo del 14 luglio 2015 voluto dal suo predecessore, il democratico Obama.
Per ora, l’establishment della Repubblica islamica cerca di fare fronte unito. Rohani ha dichiarato che l’Iran «può vendere e venderà il suo petrolio» nonostante il tentativo degli Usa di ridurne l’esportazione a zero. E ha aggiunto che «la guerra economica lanciata dagli Stati uniti contro l’Iran risulterà in una perdita per loro nel prossimo futuro». Di pari passo, le forze aeree dell’esercito iraniano e della Guardia rivoluzionaria hanno organizzato un’esercitazione militare congiunta di due giorni in una vasta area del paese, puntualizzando che tutti i sistemi usati sono di produzione nazionale.
Anche la popolazione cerca di fare fronte unito contro quella che è percepita come un’ingiustizia, perché la Repubblica islamica ha rispettato l’accordo e a certificarlo è stata l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
In segno di sfida, domenica tanti iraniani sono scesi in piazza in occasione dell’anniversario dell’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran nel 1979. Lo hanno fatto con le modalità di sempre: urlando slogan come «abbasso gli Usa» e «abbasso Israele», dando fuoco a una bandiera degli Usa e a una dello Stato ebraico. Ribadendo quelli che sono diventati i pilastri ideologici della Repubblica islamica, che a breve compie 40 anni. Un’operazione di lifting, per la quale Khamenei e compagni devono dire grazie a Trump.
* Fonte: Farian Sabahi, IL MANIFESTO
photo: By Elvert Barnes from Hyattsville MD, USA (58.NoWarOnIran.WhiteHouse.WDC.4February2012) [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons
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