Legge di bilancio. Perché slittano le misure “bandiera” su reddito e «quota 100»
Il «confronto e un dialogo costruttivo» che Palazzo Chigi sostiene di tenere in queste ore con la Commissione Europea che sta preparando una procedura di infrazione per debito eccessivo dovrebbe partire con un’astuzia contabile: lo «scivolamento fiscale» delle misure simbolo del governo «populista» – la quota 100 delle pensioni e il sussidio di povertà impropriamente detto «reddito di cittadinanza». L’intento era già stato comunicato mesi fa, ma negli ultimi tre giorni, in coincidenza con la firma del Quirinale e la «bollinatura» della manovra da parte della Ragioneria di Stato, è diventato palese. Le due misure-simbolo della legislatura sono previste all’articolo 21 della manovra che, in più, stabilisce l’istituzione di due fondi distinti da 9 miliardi (per il «reddito»m che ingloba i 2,1 miliardi del fondo per la povertà del «reddito di inclusione) e 6,7 miliardi per le pensioni. Tali interventi saranno regolati in un secondo momento tramite provvedimenti ad hoc formalizzati attraverso collegati alla legge di bilancio.
PER IL SOTTOSEGRETARIO alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti questa mossa non è stata decisa «per motivazioni di ordine contabile», ma per amore del perfezionismo. «Partiranno quando sarà tutto pronto per partire» ha aggiunto. Sarà, ma è anche lecito non credere a questa versione. Potrebbe trattarsi di una mossa per alleggerire il conteggio del deficit previsto al 2,4% nel 2019 e le stime molto ottimistiche sulla crescita (+1,5% del Pil) e sul calo del debito. Avere, per tempo va detto, previsto un simile slittamento significa dilazionare la spesa programmata dai primi mesi del 2019 alla fine della prima metà dell’anno. La «quota 100» partirebbe così a settembre 2019, spostando al 2020 una buona metà della spesa preventivata dalla manovra. Per i soli statali, che coprirerebbero il 40% della platea cara ai leghisti, l’attesa sarebbe dunque di nove mesi e il risparmio sarebbe di 3,7 miliardi sui 6,7 preventivati. Il resto? Lo si vedrà l’anno prossimo. Stesso discorso per il sussidio di povertà per il quale i Cinque Stelle hanno già avvertito che partirà in una data non precisata, comunque tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2019. Giusto in tempo per alzare la bandiera in vista di fine maggio, quando si terranno le elezioni europee sulle quali Di Maio conta molto per scombinare i giochi delle maggioranze politiche in senso «populista». In questo caso i «risparmi» potrebbero permettere un bonus di un paio di miliardi, calando da 9 a 7 miliardi di euro.
DA QUESTO ARTIFICIO contabile – che risponde in realtà all’enorme difficoltà di avviare la trasformazione epocale dei centri per l’impiego necessaria – potrebbero derivare risparmi pari a un paio ( o più) di decimali sul Pil, abbassando quello effettivo al 2%. Il ministro dell’economia Tria scommette sul fatto che il deficit alla fine sarà più basso del previsto (non il 2,4% ma il 2%, appunto). La fatidica soglia del 2,4% è stata calcolata su una crescita «tendenziale» dello 0,9% e non su quella stimata come effetto della manovra, all’1,5%. Argomenti che non è detto convincano gli austerici custodi dei conti che rimproverano ai gialloverdi una «deviazione senza precedenti» rispetto agli impegni che il governo Gentiloni aveva preso (deficit allo 0,8%). Il governo pensa invece che potrebbero commuoversi e ammorbidire una posizione che non sembra lasciare molto spazio al «dialogo» di cui parla Conte. I tre-quattro miliardi spalmati tra il 2019 e il 2020 potrebbero essere a loro volta usati come compensazione qualora la vagheggiata crescita non sia ben più bassa. In questo modo un governo che scommette tutto su una cifra in cui in fondo mostra di non credere troppo, si lascerebbe aperta la strada ad un’altra destinazione delle risorse, in primo luogo al contenimento di un deficit che potrebbe essere più alto del 2,4% programmato.
DAL PUNTO DI VISTA interno, lo slittamento permetterà ai pentaleghisti di presentarsi sulle loro bacheche facebook dicendo di «essere andati avanti». Dal punto di vista esterno, permetterà di offrire al fronte dialogante qualche ragione per dimostrare di essere sensibili all’ortodossia ordoliberista. Al netto dell’efficacia dei provvedimenti, e dei loro reali contenuti che restano solo enunciati, questo è il garbuglio tattico con il quale il governo intende proseguire lo scontro d’autunno. L’esito di questa cambiale in bianco che il parlamento è chiamato a votare non è affatto scontato.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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