La lotta paga alla Ri-Maflow, sgombero rinviato

by Roberto Maggioni * | 29 Novembre 2018 7:48

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MILANO. Alla RiMaflow hanno vinto i lavoratori, la solidarietà e una benvenuta sensibilità istituzionale. Un tempo si sarebbe detto «la lotta paga»: è stato così. Lo sfratto della fabbrica recuperata di Trezzano sul Naviglio è stato sospeso fino al 30 aprile 2019.

I PROSSIMI MESI serviranno a trasferire la RiMaflow altrove e lasciare quei capannoni abbandonati e da bonificare alla proprietà, Unicredit. La nuova sede potrebbe essere poco distante da dove si trova oggi la RiMaflow, i lavoratori hanno già messo gli occhi su un capannone confinante con l’attuale area e legato alla storia della vecchia Maflow. L’accordo sulla sospensione dello sfratto è arrivato in Prefettura a Milano mentre davanti oltre 300 persone presidiavano l’area interna ed esterna dei capannoni. C’erano giovani, meno giovani, operai, sindacalisti, attivisti, persone comuni che da un po’ di tempo non si incrociavano tutte insieme per qualcosa di comune.

IN ALTO, ALL’INGRESSO della portineria, lo striscione simbolo di dieci anni di lotta: «le nostre vite valgono più dei loro profitti». Unicredit e la Prefettura hanno riconosciuto per la prima volta questa esperienza come controparte, definendola nel protocollo «fabbrica recuperata». È scritto anche che Unicredit darà un contributo economico al fondo della Caritas Ambrosiana per il sostegno al lavoro. Nella trattativa un importante ruolo di garanzia lo hanno avuto l’immobiliarista Marco Cabassi e la Caritas Ambrosiana, a partire dal suo presidente Luciano Gualzetti.

«È STATA UN VITTORIA straordinaria e in parte inattesa» ci dice Gigi Malabarba, tra i protagonisti di questa storia. Malabarba 10 anni fa conobbe Massimo Lettieri e la vertenza dell’allora Maflow, oggi è una delle persone più coinvolte nei progetti della Cittadella dell’altra economia. «Volevamo un negoziato con Unicredt ed eravamo preoccupati di evitare lo sgombero, invece non solo abbiamo avuto la sospensione ma anche un accordo di merito». Una vittoria sociale, nel senso che tanti soggetti hanno concorso a questo risultato. «È stata una cosa enorme e abbiamo visto al nostro fianco figure non tradizionalmente nelle lotte». Malabarba si riferisce in particolare al cattolicesimo sociale attivo a Milano.

La Caritas, il parroco di Trezzano sul Naviglio si sono innamorati di questa storia e dopo aver contribuito a farla crescere si sono spesi con le istituzioni affinché non morisse.

«LA FIRMA IN CALCE all’accordo del direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, la firma del prefetto di Milano Renato Saccone, dei dirigenti di Unicredit e della cooperativa RiMaflow sono la dimostrazione che si va in una direzione importante. Come garante dell’accordo si è impegnato anche l’immobiliarista Marco Cabassi». Ora l’idea è costituire un soggetto né pubblico né privato, fatto di forze che vogliano impegnarsi per la tutela del bene comune e del lavoro, e magari un giorno tornare a dare lavoro a 330 persone, tanti quanti erano i dipendenti della vecchia Maflow.

«Qualcosa che possa essere una risposta anche alla crisi del cooperativismo» dice Malabarba «che spesso è diventato uno strumento di competizione al ribasso per la manodopera. Questa cosa sentirsela dire da don Gino Rigoldi al megafono durante il presidio è stata un incoraggiamento notevolissimo. La pratica sociale del mutualismo abbatte muri e sfora i tradizionali schieramenti».

MA COSA PREVEDE L’ACCORDO sottoscritto in Prefettura? «I capannoni dove ora ci sono le nostre attività sono incomprabili, fatiscenti, da bonificare, ci sarebbero costi straordinari da sostenere» dice Malabarba. «Per questo abbiamo individuato un area adiacente a quella attuale, un capannone dell’Autosystem che aveva riassorbito una parte dei lavoratori licenziati dalla Maflow nel 2012 e che ha chiuso ad aprile 2018. Ora quel capannone è vuoto, faceva le stesse attività della Maflow, l’ipotesi è andare lì, una soluzione geograficamente e simbolicamente vicina all’attuale RiMaflow. È un capannone efficiente, i tetti hanno il fotovoltaico».

ARRIVATA LA NOTIZIA dell’accordo le persone al presidio si sono abbracciate. In questa Italia incattivita, chiusa nel rancore individuale, questa storia racconta che è ancora possibile costruire rapporti reali e solidali. «Non ribalteremo noi con questa piccola realtà la situazione generale» dice Malabarba «ma tante piccole situazioni messe insieme dicono che qualcosa di alternativo è possibile costruirlo». I falegnami, i tappezzieri, gli artigiani della Cittadella dell’altra economia, i 120 lavoratori, l’Amaro Partigiano, la rete Fuorimercato, la ricicleria e tutte le altre attività continueranno a vivere senza padroni.

* Fonte: Roberto Maggioni, IL MANIFESTO[1]

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