La Lega prova a scippare il «reddito» a Di Maio: i soldi alle imprese
Il “reddito di cittadinanza” è diventato un business. Ma già nelle bozze di una proposta che sarà integralmente nota solo dopo Natale, dopo l’approvazione della legge di bilancio, è previsto l’assistenzialismo di stato al capitale. Di Maio a Vespa: “Tre mensilità andranno alle aziende che assumono”. Cioè oltre 2 mila euro. Salvini: “Nessuna polemica, con i Cinque Stelle lavoriamo bene”
Goccia dopo goccia la Lega otterrà dai Cinque Stelle quello che ieri Armando Siri, sottosegretario alle infrastrutture, sa già di avere in mano: soldi alle imprese, soprattutto del Nord. «Non c’è un problema» nel governo sul «reddito di cittadinanza», «ma la cornice della misura va ancora definita» ha detto al Giornale Radio Uno Rai. Per evitare una presunta «frattura tra il Nord e il Sud del Paese», tra l’altro più volte smentita con note ufficiali furente da parte dei Cinque Stelle, Siri sostiene di avere proposto «che la dotazione anziché andare direttamente ai vari beneficiari vada a imprese e aziende che si facciano carico di formarle».
IL LEGHISTA è certamente al corrente del fatto che il decreto che sarà emanato dal governo dopo l’approvazione della legge di bilancio, a Natale o dopo sostiene Di Maio, contiene già una proposta simile. In un’intervista contenuta nella strenna natalizia di Bruno Vespa, Di Maio l’ha riassunta in questo modo: «Se sarà l’agenzia privata a trovare la proposta giusta, sarà compensata con il triplo di 780 euro. Se sarà il centro pubblico, sarà l’impresa che assume il lavoratore ad avere lo stesso bonus. 780 euro moltiplicati per tre» ha detto Di Maio. Come il contestato (dai Cinque Stelle) Jobs Act, anche il farlocco «reddito di cittadinanza» prevederà un cospicuo contributo ai profitti delle imprese: almeno 2.340 euro per ogni assunto che sarà passato dal cerchio di fuoco del sussidio vincolato ai seguenti obblighi: lavoro gratis di otto ore a settimana per lo stato; formazione continua per 18 mesi (e altri 18 se non arriva un’offerta di lavoro); obbligo a consumare il sussidio parametrato al reddito Isee e divieto di risparmio, pena una visita della guardia di finanza (Laura Castelli); obbligo di mobilità nei «distretti» perché il vincolo chilometrico di 51 chilometri entro i quali il disoccupato dovrà accettare una proposta di occupazione «sarà superato». «Ma vogliamo evitare lo spostamento in massa dal Sud verso il Nord» ha detto Di Maio. Inquietante.
*** Dopo il Jobs Act, un altro incentivo alle imprese: il sussidio detto di “cittadinanza”
FINO AD OLTRE 2 MILA euro per occupato. Non sono gli ottomila euro garantiti da Renzi alle imprese per ogni neo-assunto con il Jobs Act, ma è una cifra rispettabile, considerando anche il fatto che la platea potenziale dei beneficiari è ben più ampia. Ecco come il sussidio di povertà si trasformerà in un business del precariato. Un assistenzialismo pubblico al capitale, «in nome del popolo». E i «poveri» dovranno anche ringraziare il populista e il padrone che riceverà, grazie a lui, una dote. E poi, chissà, altri sgravi.
OGGI PER CREARE «posti di lavoro», proprio quelli che il sottosegretario Giorgetti dubita possano nascere (in un’altra intervista a Vespa), lo Stato (il contribuente) deve pagare il privato, o la burocrazia che sarà creata per sanzionare chi non starà alle regole anche morali stabilite dal governo. Tra l’altro, anche in questo caso, dopo il Jobs Act, i fondi pubblici non sembrano essere vincolati a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (si fa per dire: dopo il Jobs Act che il governo pentaleghista non ha abolito, nessun rapporto di lavoro è stabile). La regola populista è quella del Capitale: le perdite sono pubbliche, i profitti sono dei privati.
E DIRE CHE IL «REDDITO di cittadinanza» significa tutt’altro: è un diritto fondamentale della persona di percepire un reddito, a riconoscimento del suo diritto di esistere come essere umano. Questa è la sanzione finale: la trasformazione di un diritto in un capitale umano. In questa atroce discussione, nessuna autonomia è riconosciuta al singolo. Se di soldi bisogna parlare, vadano alle imprese. E la Lega rilancia: tutti i fondi previsti per i 5-6 milioni di «poveri» (all’incirca 9 miliardi di euro per il 2019) dovrebbero passare per le imprese, le agenzie regionali di formazione e collocamento, le multinazionali del lavoro interinale, i riformandi centri per l’impiego. È plausibile che una delle «complicazioni attuative non indifferenti del reddito» ricordate da Giorgetti sia proprio questa, al netto di quella maestra: la possibilità di trasformare «entro marzo 2019» gli attuali centri per l’impiego nel workfare dei «Job Center» tedeschi che intermediano fino a tre offerte di lavoro per oltre 5 milioni di persone.
NESSUNO CREDE a una simile possibilità. In Italia potrebbero non bastare 5 anni, e almeno 10 mila nuove assunzioni. altro che tre mesi. Ma, come dice il «contratto di governo», tutto questo deve essere credibile, ne va della tenuta dell’esecutivo. «Se qualche membro del governo non crede in quello che stiamo facendo – ha detto Di Maio alludendo a Giorgetti – allora è un rischio per i cittadini». In realtà, per quanto è dato di conoscere saranno più grandi i rischi che correranno i cittadini una volta costruito questo dispositivo politico delreddito di sudditanza e del paternalismo di Stato. È probabile che i Cinque Stelle non accettino la proposta di Siri, anche perché la loro formula paradossale, di «reddito di cittadinanza», in realtà un sussidio di povertà vincolato al lavoro obbligatorio, verrebbe meno. Sarebbe solo un incentivo alle imprese. Cosa che è già in parte così, lo ha detto Di Maio.
LE TRATTATIVE IN CORSO sono coperte da Salvini che ieri ha placato le acque: «Nessuna polemica, con il M5S stiamo lavorando bene e sono molto soddisfatto per le leggi fatte e per quelle in cantiere». Lavorare per chi, questo è il problema.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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