L’articolo 89 della manovra approdata in parlamento recita: «I maggiori introiti derivanti dalla gara per la procedura di assegnazione di diritti d’uso delle frequenze (…) concorrono al conseguimento degli obiettivi programmatici». Insomma, finanzieranno Reddito di cittadinanza e Quota 100 per le pensioni.
A PAGARE SARANNO le compagnie telefoniche che si sono spartite le frequenze. La base d’asta era di 2 miliardi ma la concorrenza è stata fortissima e il valore è più che triplicato. Gli investimenti dei vari Telecom Italia, Vodafone, Wind, Iliad e Fastweb sono ingenti.
Sembrerebbe un’ottima notizia. Se non fosse che le stesse aziende sono fortemente indebitate e non paiono in grado di permettersi investimenti così costosi. A meno di non recuperarli tagliando altre fonti di spesa: la quota salari e il numero dei dipendenti prima di tutto.
La denuncia arriva da tutti i sindacati. Che prevedono: «Per i lavoratori sarà un bagno di sangue». «Siamo fortemente preoccupati per le conseguenze dell’asta avvenuta in un regime incontrollato, senza un’analisi razionale tra l’investimento e ipotetici ricavi legati ai servizi a banda ultralarga», hanno dichiarato in una nota unitaria Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom.
LE QUOTE CHE VERRANNO pagate dagli operatori non verranno versate subito nelle casse dello Stato: nel 2019 arriveranno solo 1,25 miliardi dalla vendita delle bande disponibili. I pagamenti per la banda 700 Mhz arriveranno a frequenze «liberate», cioè nel 2022.
La corsa è stata agguerrita sulla banda 3,6-3.8 GHz che però, come la 26,5-27,5 Ghz, non si libererà che dal 2019. Una parte della banda è nella disponibilità della Difesa, un’altra non è stata messa all’asta perché le licenze sono state prorogate fino al 2029. La 700 Mhz si libererà più tardi delle altre – nel 2022 – ma viene considerata la più preziosa, di un valore superiore del 10% a quella 800 Mhz: serve a garantire un’ampia copertura territoriale, anche indoor, mentre le frequenze più elevate garantiscono maggiore velocità.
IL TESTA A TESTA che ha fatto impennare l’incasso ha riguardato proprio le frequenze dei 3,6-3,8 Ghz: oltre 4,3 miliardi sono stati investiti su questa fascia che sarà disponibile a breve. I due lotti specifici da 80 Mhz, i più pregiati della sezione, sono andati a Telecom e Vodafone, rispettivamente per 1,694 e 1,685 miliardi di offerta.
Iliad e Wind Tre hanno ottenuto i lotti generici da 20 Mhz, con una spesa di 483, 9 milioni di euro. È stata questa la fascia di frequenze più combattuta, specie per via dei rilanci di Wind Tre, che era rimasta a secco nel lotto dei 700 Mhz.
A detta dell’agenzia di rating Fitch «gli operatori italiani hanno strapagato («dieci volte quanto speso in Finlandia» che ha lo stesso mercato, 4 volte l’Uk che ha un mercato più grande e quasi 12 volte la Spagna) le loro frequenze, come misura difensiva nei confronti della nuova entrata Iliad e non per un reale bisogno di lanciare il 5G». La compagnia francese, come nuovo attore ha avuto una corsia preferenziale ma ha comunque investito molto.
IL GIUDIZIO DI FITCH è condivisibile solo in parte. Se è vero che l’arrivo di Iliad in Italia ha scatenato una guerra al ribasso dei prezzi che ha fatto cadere tutti i fatturati, è il numero troppo elevato degli attori in gioco – se per il 4G c’erano le 4 compagnie più gli attori virtuali (Poste Mobile e Coop Voce) nel 5G è entrata anche FastWeb – a rendere il mercato troppo piccolo. Ma paradossalmente per tutti entrare nel 5G era indispensabile. E allora è partita un’asta a costi altissimi.
IL DATO DEI FATTURATI delle compagnie in Italia è impressionante: nel 2007 i ricavi lordi erano di 45,8 miliardi; nel 2017 sono scesi a 32,09. Stessa cosa per Edibta (il profitto lordo) calato da 17 a 12 miliardi in 10 anni.
C’è poi il problema delle infrastrutture su cui dovrà viaggiare il 5G. Se Wind ha già un grave problema di rete, le compagnie dovranno pagare gli operatorin che costruiranno la casa su cui poggerà la nuova tecnologia. In testa i due cinesi Zte e Huawei più Nokia e Ericsson, il gigante svedese che nel 2017 ha licenziato centinaia di lavoratori e proprio ieri ha disdettato tutti gli accordi sindacali portando i sindacati a indire uno sciopero per il 15 novembre.
TUTTO CIÒ PORTA I SINDACATI a considerare a rischio tutti i 120mila dipendenti del settore Tlc in Italia e a chiedere un confronto immediato con il governo. «In un contesto nebuloso per il futuro delle aziende e dei lavoratori, sui quali si scaricheranno gli effetti del costo irrazionale delle frequenze, Slc Cgil, Fistel e Uilcom, ancora una volta, chiedono un tavolo con il governo per un confronto sul settore Tlc».
* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]