«Basta armi ai sauditi», l’appello di numerose organizzazioni

by Madi Ferrucci, Roberto Persia * | 29 Novembre 2018 9:42

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ROMA. Rappresentanti di varie organizzazioni della società civile italiana si sono incontrate nella mattinata di ieri a Palazzo Madama per ribadire la necessità di uno stop all’esportazione delle armi in Yemen e presentare una serie di punti che potrebbero essere oggetto di «un’auspicata» mozione parlamentare. Presenti tra i relatori anche il presidente della Commissione Affari Esteri del M5S Rosario Vito Petrocelli e il senatore 5S Gianluca Ferrara.

Stando ai dati riportati da Oxfam, l’80% della popolazione yemenita necessita di assistenza umanitaria, e di questi solo il 35% ha accesso all’acqua. Secondo Save the Chidren, inoltre, sono circa 500 le scuole distrutte dai bombardamenti e 85 mila i bambini morti per la fame e le malattie causate dalla guerra.

La tregua tra le parti in conflitto stabilita appena una settimana fa sembra già finita, dichiara Petroselli: «La situazione in Yemen sembrerebbe essere sull’orlo del precipizio. La de-escalation tra gli attori in guerra è durata meno del previsto. Per valutare la situazione umanitaria nell’area in previsione dei “negoziati di pace” che dovrebbero avere luogo il prossimo mese in Svezia è stato inviato dall’Onu Griffiths, che da giorni denuncia il controllo da parte dei ribelli del porto di Hodeidah. Infatti, Solo il 7% degli aiuti umanitari riesce a raggiungere la meta, oltre il 93% finisce nelle mani delle mani delle milizie».

Nonostante Ferrara e Petrocelli abbiano ribadito più volte durante la conferenza di essere sensibili alla questione, la posizione del governo sembra rimanere ambigua. La ministra 5S della Difesa Trenta a settembre ha sollecitato il ministro degli Esteri Moavero Milanesi sulla questione, ma la risposta non è ancora arrivata.

Anche le dichiarazioni del 5 Stelle Petroselli rilasciate durante la conferenza non lasciano pensare ad un’azione immediata: «Se tutti i governi precedenti non sono riusciti a fermare l’esportazione significa che il problema sta nella legge e che la legge deve essere riformata perché non è chiara».

Quali siano però gli aspetti della legge da riformare risulta poco chiaro, dal momento che, come ha ricordato Nicoletta Dentico di Banca Etica, la legge recita già chiaramente «che non è possibile esportare armi verso paesi in stato di conflitto armato, i cui governi si siano resi responsabili di violazioni dei diritti umani». A fine agosto una commissione di esperti dell’Onu ha accertato la violazione dei diritti umani da parte di tutte le parti in conflitto.

Non solo, l’azienda Rwm in Sardegna, che esporta la maggior parte delle armi italiane verso l’Arabia saudita, triplicherà la sua produzione; come confermato da un provvedimento comunale del comune di Iglesias, che il 9 novembre ha approvato l’ampliamento della fabbrica. Infine ci sono i dati dell’Iriad (Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo), secondo cui nell’ultimo biennio l’export del l nostro paese verso le regioni del Nord Africa e del Medio Oriente ha registrato un incremento del 50%.

Il governo non sembra tuttavia volersi attivare immediatamente per una sospensione delle vendite e sembra invece più incline a intraprendere un lungo iter parlamentare per la modifica di una legge già applicabile. A fronte di queste dichiarazioni verrebbe quindi da domandarsi se non ci si stia appellando a una riforma legislativa, per rimandare nuovamente la decisione a data da definirsi.

* Fonte: Madi Ferrucci, Roberto Persia, IL MANIFESTO[1]

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