Stefano Cucchi, arrivano finalmente in aula le prime verità: «È caduto un muro»

by Eleonora Martini * | 12 Ottobre 2018 8:30

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Non se lo aspettavano neppure gli avvocati difensori: le rivelazioni del pm Giovanni Musarò in apertura dell’udienza di ieri del processo bis per la morte di Stefano Cucchi che vede alla sbarra, a vario titolo, cinque carabinieri, sono un terremoto. Un salubre scuotimento che rompe finalmente il muro di omertà e silenzio all’interno dell’Arma durato nove anni. «Il 20 giugno 2018 – riferisce il pubblico ministero rendendo nota un’attività integrativa di indagine – l’imputato Francesco Tedesco ha presentato una denuncia contro ignoti in cui dice che quando ha saputo della morte di Cucchi ha redatto una notazione di servizio.

In successive dichiarazioni ha poi chiamato in causa gli altri imputati: Mandolini, da lui informato; D’Alessandro e Di Bernardo, quali autori del pestaggio; Nicolardi quando si è recato in Corte d’Assise, già sapeva tutto». La procura, ha spiegato Musarò alla Corte d’Assise di Roma, successivamente ha potuto verificare che effettivamente «è stata redatta una notazione di servizio, che è stata sottratta e il comandante di stazione dell’epoca (il maresciallo Roberto Mandolini, appunto, ndr) non ha saputo spiegare la mancanza». Il documento «assolutamente importante per la ricostruzione dei fatti, è stato sottratto» dalla stazione Appia dove era depositato e, ha aggiunto il pm, non ve n’è più traccia.

NEI TRE INTERROGATORI a cui è stato sottoposto a Piazzale Clodio (vedi articolo della pagina a fianco), Tedesco ha poi raccontato agli inquirenti i particolari del pestaggio di Stefano Cucchi a cui, a suo dire, avrebbe assistito. Pestaggio durante il quale ad infierire sul ragazzo caduto a terra violentemente, e preso a calci e pugni anche sulla testa e in faccia, sarebbero stati i suoi due colleghi e co-imputati, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati con lo stesso Tedesco di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità.

La nuova attività di indagine integrativa formalmente non fa ancora parte del fascicolo dibattimentale ma dovrebbe entrarvi dopo che, in una prossima udienza, il pm avanzerà formalmente la richiesta di acquisizione di tutti gli atti e di altre nuove prove testimoniali. Ma nel nuovo fascicolo aperto dalla procura di Roma sulla morte di Stefano Cucchi compaiono altri carabinieri indagati, accusati di falso ideologico. Tra loro ci sarebbe Francesco Di Sano, il militare che aveva redatto due annotazioni di servizio nell’ottobre 2009 e già aveva ammesso di essere stato invitato a ritoccare il verbale. Di Sano infatti inizialmente aveva scritto: «Cucchi riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare, veniva comunque aiutato a salire le scale…».

Ma poi cambiò il testo così: «Cucchi – scrisse – riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura freddo/umida che per la rigidità della tavola del letto (priva di materasso e cuscino) ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata anche per la sua accentuata magrezza».

SULL’«ECCESSIVA MAGREZZA» come concausa di morte del giovane romano, arrestato per spaccio il 16 ottobre 2009 e deceduto il 22 ottobre nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini, insiste molto la linea difensiva di tutti gli imputati. Un assunto che si sgretola nel pubblico dibattimento, udienza dopo udienza. Ieri, per esempio, la testimonianza di Tareq, un altro detenuto che era ricoverato all’ospedale Pertini insieme a Cucchi, ha rivelato come Stefano patisse fortissimi dolori alla schiena, fin dalla notte in cui venne ricoverato, tali da impedirgli di camminare correttamente, e da imporgli di dormire a pancia in giù. «Urlava per i dolori – ha riferito alla Corte – e quando gli abbiamo chiesto cosa gli fosse successo ci ha detto: “Ho preso tante botte dai carabinieri per tutta la notte”». Dunque, il pestaggio a cui Tedesco ha assistito potrebbe non essere stato l’unico, come ha ammesso lo stesso carabiniere “pentito”.

UNA «CONFESSIONE DIROMPENTE», quella di Tedesco, come l’ha chiamata l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, che ha fatto il giro del mondo. Scrive su Facebook Ilaria, la sorella di Stefano: «Ore 11.21. Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo, e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi. Lo Stato deve chiederci scusa».

Naturalmente c’è sempre chi non si mostra all’altezza di saper chiedere scusa, come l’ex senatore Giovanardi che ieri ha ripetuto: «Perché dovrei farlo? La prima causa di morte di Cucchi è stata la droga». Il ministro Matteo Salvini invece tiene un profilo istituzionale: «Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale», dichiara, e l’invito viene subito raccolto con cortesia da Ilaria Cucchi. «Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità – aggiunge il vicepremier – ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l’eroismo quotidiano delle forze dell’ordine». Un abbraccio alla famiglia «con grande affetto» viene invece dalla ministra della Difesa, Elisabetta Trenta: «Chi si è macchiato di questo reato pagherà, ve lo assicuro – afferma –

Lo voglio io, lo vuole questo governo e lo vuole tutta l’Arma dei Carabinieri, che merita rispetto». Mostra infine sconcerto il presidente della Camera, Roberto Fico, che twitta: « Una morte che non può avvenire in un Paese civile».

* Fonte: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]

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