by Giuliano Santoro * | 25 Ottobre 2018 9:30
ROMA. Matteo Salvini mette in moto la ruspa e approfitta dell’orrore causato dall’omicidio di Desirée per lanciare la nuova campagna di sgomberi, più volte promessa ma incagliatasi di fronte alle difficoltà oggettive e ai dubbi di una parte della giunta capitolina di Virginia Raggi. Il rapporto tra i due è controverso. In passato hanno palesato intese e alleanze in nome del contratto di governo. Solo che da qualche mese Salvini ha lanciato la lunga rincorsa al Campidoglio in vista delle prossime elezioni amministrative. Dunque è scattata una competizione sotterranea quanto malcelata.
Non è un caso che Luigi Di Maio abbia annunciato un decreto per conferire poteri speciali alla sindaca, cosa che sulla sicurezza appannerebbe il ruolo del ministro leghista. C’è il precedente di Torino: nei giorni scorsi il consiglio comunale dell’altra città a maggioranza grillina con un’inedita alleanza tra M5S e Pd ha proposto di alleviare gli effetti più repressivi del decreto sicurezza che porta la firma di Salvini.
Ieri mattina la sindaca di Roma e il ministro dell’interno si sono incontrati al Comitato per l’ordine pubblico, assieme al procuratore Giuseppe Pignatone. L’organismo avrebbe messo giù un elenco ragionato dei primi sgomberi previsti in città, che seguirebbero criteri stabiliti. Prima ci sono gli edifici pericolanti, tra questi viene considerato a rischio il palazzo di via Carlo Felice, a San Giovanni, dove vivono rifugiati eritrei e che al piano terra ospita il centro sociale Sans Papier.
Poi ci sono i posti in cui sarebbero state riscontrate «condizioni igienico-sanitarie degradate», come l’ex fabbrica di Penicillina sulla via Tiburtina, occupazione spontanea, non organizzata da alcun movimento di lotta per l’abitare. Infine, ci sono gli spazi sui quali pende una sentenza della magistratura. In tutto al Viminale contano circa novanta occupazioni. Dalla Regione Lazio arriva un milione di euro per assistere i nuclei che finiranno per strada. Nella lista in mano a Raggi e Salvini c’è anche Metropoliz, l’ex salumificio in via Prenestina trasformato oggi in un museo d’arte contemporanea (oltre che in spazio abitativo) per il quale la magistratura ha condannato il ministero a pagare i proprietari per il mancato sgombero, stabilendo un pericoloso precedente che indebolisce i vincoli alla proprietà privata stabiliti dalla Costituzione. D’altronde, è lo stesso Salvini che da tempo, anche in numerosi interventi in parlamento, ha definito la proprietà privata un «diritto assoluto».
La tolleranza zero salviniana vale anche per CasaPound, che occupa da anni un palazzo del demanio nella centralissima via Napoleone III? Raggi non si tira indietro: «Mi aspetto un segnale forte ma l’input non deve arrivare da me». Il ministro fa sapere di non considerare lo stabile divenuto quartier generale dei «fascisti del terzo millennio» tra le priorità: «Si parte dai primi quattro stabili che hanno carattere di instabilità», dice. In serata, pungolato ancora sul tema, ostenta indifferenza: «Per me non esistono occupazioni di serie a e serie b». Di fronte alle dichiarazioni di Salvini sul «degrado» nel quartiere di San Lorenzo (e Forza Nuova coglie al volo per annunciare una «passeggiata» per sabato), infine, Raggi non si sottrae.
Solo che casca nella trappola e rilancia la gara sul terreno più apprezzato dal vicepremier leghista: la dichiarazione dello stato d’emergenza: «La Lega forse non conosce Roma. Non c’è solo San Lorenzo come quartiere difficile. Abbiamo zone più periferiche come San Basilio, Tor Bella Monaca, Corviale, Centocelle in cui è necessario che l’azione dello Stato sia più incisiva. Servono più forze dell’ordine, accompagnerò il Salvini a conoscere Roma in modo che si possa passare finalmente dalle parole ai fatti», dice la sindaca. Che chiede duemila agenti di polizia locale in più e rilancia il divieto di vendere alcolici entro le 21.
* Fonte: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO[1]
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