by Alberto Negri * | 6 Ottobre 2018 10:22
Come funziona il sistema Usa e come faremo la nuova guerra all’Iran? Il metodo è quello di applicare strette sanzioni finanziarie sul petrolio iraniano in modo da vendere meglio il loro, quello dei sauditi e delle monarchie del Golfo. Con i soldi incassati Riad – secondo acquirente di prodotti bellici al mondo – e gli emiri possono continuare a comprare gli armamenti americani. Sono loro i maggiori clienti del Pentagono, soprattutto adesso che i sauditi devono combattere la guerra in Yemen, dove muoiono migliaia di civili ma che è stata silenziata sui media internazionali.
SEMPLICE NO? Si chiama libero mercato in libero massacro. E via anche con i dazi alla Cina che vuole sfuggire alla morsa degli Usa sui rifornimenti energetici aprendo il corridoio sino-pakistano, altra partita strategica di portata globale perché se sarà realizzato consentirà a Pechino di sfuggire in parte al controllo americano degli Stretti di Malacca.
All’Italia, se fa la brava applicando le sanzioni a Teheran, viene garantito il greggio della Libia che in Cirenaica verrà spartito con i francesi. E prima o dopo del vertice sulla Libia, che si svolgerà a Palermo in novembre, il generale Khalifa Haftar avrà la testa del nostro ambasciatore a Tripoli. Non è un caso che il ministro degli Esteri Moavero andrà a incontrare il suo collega Lavrov a Mosca: la Russia con Francia ed Egitto sostiene il generale e da almeno due anni Mosca si propone, inascoltata, alla diplomazia italiana come mediatrice per controbilanciare l’influenza francese.
MA NON È FINITA QUI. Per fare davvero la guerra non solo economica all’Iran – da 40 anni il vero bersaglio di Usa, Israele e sauditi – bisogna usare altri mezzi senza però entrare in un devastante conflitto in campo aperto dopo quello che per sette anni ha disintegrato la Siria e che occidentali e monarchie arabe hanno perso insieme ai turchi.
Così entrano in campo le storiche relazioni pericolose francesi, internazionali e italiane con il fronte anti-Iran. Circa 3500 Mujaheddin Khalq (Mek), oppositori di Teheran un tempo di stanza in Iraq si sono acquartierati in Albania. Parigi e Teheran sono ai ferri corti per la presenza del Mek in Francia, usato da tempo dai servizi israeliani e americani.
NEI BALCANI, grazie anche ai finanziamenti delle monarchie sunnite del Golfo, si è formato negli anni, tra Kosovo, Albania, Bosnia e Macedonia, un esercito di jihadisti: almeno un migliaio in questi anni si sono arruolati in Siria per combattere contro Bashar al Assad appoggiato da russi e iraniani.
Adesso i jihadisti sconfitti stanno tornando nei Balcani e potrebbero essere utilizzati in funzione anti-Iran, come per altro è già avvenuto finora nella guerra per procura siriana.
Il recente attentato con 30 morti nella città iraniana di Ahwaz alla parata dei Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, è stato probabilmente un’avvisaglia di questa nuova strategia.
Ma per questa guerra all’Iran, economica e in parte terroristica o di guerriglia, ci vuole anche la partecipazione degli europei che inizialmente volevano aggirare le sanzioni Usa all’Iran e difendere l’accordo sul nucleare del 2015 firmato da Obama e stracciato da Donald Trump. Ci sono dubbi che la Francia, nonostante alcune dichiarazioni ufficiali, intenda oltrepassare le sanzioni Usa all’Iran come vorrebbe fare la diplomazia di Bruxelles secondo quanto già annunciato dalla Mogherini.
L’ITALIA, INVECE DI AGIRE per conto proprio e difendere l’export delle imprese in Iran, si sta adeguando a questa agenda americana e agli ordini ricevuti dalla Lega da Israele.
Che la Lega esprima posizioni assai filo-israeliane è di dominio pubblico ed è riscontrabile nelle dichiarazioni alla stampa del suo leader Salvini. A questo atteggiamento i leghisti hanno fatto seguire i fatti. La Lega ha detto di no a una proposta Cinquestelle, avanzata per altro da Unioncamere, per organizzare un istituto di credito autonomo per garantire l’export di piccole e medie imprese in Iran.
Siamo in mano, come si vede, a coraggiosissimi sovranisti in Italia e in Europa.
* Fonte: Alberto Negri, IL MANIFESTO[1]
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