by Claudia Fanti * | 23 Ottobre 2018 10:39
La carovana dei migranti diretta verso gli Stati uniti non ha nessuna intenzione di fermarsi: dopo aver sfondato i cancelli e le reti di divisione alla frontiera tra Guatemala e Messico, e resistito a due tentativi di contenimento da parte della polizia messicana, con tanto di lancio di gas lacrimogeni, i migranti hanno deciso, tutti insieme, di riprendere il cammino, giungendo domenica a Tapachula, in Chiapas.
ERANO IN 1.600 al momento della partenza da San Pedro Sula il 13 ottobre e ora sono 7mila: in maggioranza honduregni, ma anche salvadoregni e guatemaltechi, tutti decisi a sfidare la fame, la stanchezza, la repressione, ma anche le politiche dei rispettivi governi e gli avvertimenti sempre più minacciosi di un infuriato Trump. «Purtroppo – ha twittato il presidente Usa – sembra che la polizia e l’esercito del Messico non siano in grado di fermare la carovana diretta verso il confine meridionale degli Stati uniti. Vi si sono mescolati criminali e medioorientali sconosciuti. Ho allertato la guardia di frontiera e l’esercito che questa è una emergenza nazionale. Le leggi devono cambiare».
L’ARRIVO A TAPACHULA, come ha sottolineato Denis Omar Contreras, uno dei rappresentanti della carovana e membro dell’organizzazione Pueblos Sin Fronteras, è una grande dimostrazione di forza: «Abbiamo rotto la barriera e lanciato ai nostri concittadini dell’Honduras, El Salvador e Guatemala un messaggio di ribellione contro i nostri governi e i loro abusi di potere».
MA HANNO FATTO ANCHE DI PIÙ: la carovana, ha evidenziato su La Jornada il sociologo Carlos Soledad, «rappresenta una speranza nuova. Si tratta di una migrazione organizzata collettivamente, in piena luce del giorno e con le telecamere al seguito. Il costo politico della repressione può essere molto alto per qualsiasi governo. In tal modo, si supera la strategia della migrazione individuale e disorganizzata, divenuta impraticabile di fronte al rischio di violenze».
DA DOMENICA, e fino alla giornata di oggi, i migranti si sono presi un po’ di riposo: troppa la stanchezza accumulata, oltre alla disidratazione provocata dalle alte temperature, malgrado i generosi aiuti offerti dalla popolazione. Lungo il percorso le autorità della polizia federale e l’Istituto di migrazione avevano, in realtà, messo a loro disposizione degli autobus che li avrebbero trasferiti in un centro di accoglienza, ma, poiché avrebbero dovuto anche sottoporsi a controlli migratori, hanno declinato l’offerta: «Vediamo cosa ci propongono i governi, a cominciare da quello del Chiapas». Perché, è chiaro, «se il Messico ci apre le porte e ci offre rifugio politico, ci fermiamo qui ed è qui che ci ricostruiremo una vita».
LE PAROLE PRONUNCIATE sulla carovana dei migranti dal presidente Andrés Manuel López Obrador, che tuttavia si insedierà solo il primo dicembre, sembrerebbero andare in questa direzione: «Che venga loro garantito il diritto a rifarsi una vita, che nessuno li maltratti, che siano protetti, aiutati e sostenuti».
* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]
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