Estrattivismo, la malattia senile del capitalismo globale

Estrattivismo, la malattia senile del capitalismo globale

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Che cosa accomuna gli ulivi del Salento e i minerali del Perù, l’acqua della Palestina e le praterie dell’Argentina, un agricoltore di Melendugno e un attivista anti-fracking del Regno Unito? un fenomeno globale che prende il nome di estrattivismo. In Italia come in Europa non abbiamo ancora molta dimestichezza con questo termine: si riferisce a quando le risorse di una regione vengono prelevate, rimosse e spesso esaurite a vantaggio di luoghi e persone diverse e a discapito dell’ambiente e delle popolazioni locali. “Estrattivismo” rimanda a una dimensione coloniale, in cui il Nord depreda il Sud del mondo: come ci ricorda Raúl Zibechi nel suo libro “La corsa all’oro: società estrattiviste e rapina” si tratta di un processo il cui inizio può essere individuato nello sfruttamento del Cerro Rico de Potosí, dove nel 1545 furono sacrificati 8 milioni di indigeni; un crimine a cui si è accompagnato l’ inizio della modernità e del capitalismo, nonché della relazione centro-periferia sulla quale si basano. Il tipo di risorse a cui questo ragionamento fa pensare sono le materie prime come minerali e idrocarburi che vengono appunto a tutt’oggi estratti dal sottosuolo di paesi in condizioni geopolitiche di subalternità rispetto ad altri dove queste materie prime vengono traferite e trasformate. Ma è in una accezione più ampia e quindi ancora meno familiare che il termine estrattivismo è stato affrontato e discusso a Borgagne ( frazione di Melendugno-LE) nel workshop internazionale  “Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification”, promosso dal TNI -Transnational Institute e dall’Associazione Bianca Guidetti Serra in collaborazione con l’Università del Salento. Un incontro fra accademici e militanti di movimenti territoriali in cui l’estrattivismo si è palesato come fenomeno multisfaccettato, condiviso da Nord a Sud, e denso di implicazioni per le sue connessioni con le dinamiche capitalistiche e neoliberiste. Estrattivismo significa l’accaparramento di diversi tipi di ricchezza da parte di grandi interessi privati, nazionali od esteri, ai danni di comunità locali che da quella ricchezza dipendono. Fanno parte di questa logica anche le monoculture di soia o olio di palma, le grandi infrastrutture che oltre a consumare suolo svolgono la funzione di trasporto e allontanamento delle risorse dal luogo di origine, come anche i meccanismi di speculazione finanziaria connessi alla realizzazione di mega-opere.

E’ ancora Raúl Zibechi a mettere a fuoco una serie di aspetti che permettono di ricondurre al processo estrattivista situazioni molto diverse fra di loro e mostrano come le “maniere neocoloniali “ affliggano anche il nord globale: occupazione massiccia del territorio, relazioni asimmetriche fra imprese transnazionali, Stati e popolazioni, economie verticali che non si articolano con le economie locali, un forte intervento politico con leggi ad hoc , l’attacco all’agricoltura familiare ed alla sovranità alimentare, militarizzazione territorio. Queste implicazioni le ritroviamo tutte nella situazione che stanno vivendo gli abitanti del Salento alle prese con il grande progetto del Trans Adriatic Pipe Line (Tap) e ci permettono di capire le ragioni della battaglia dei No TAP. Non a caso ricercatori ed attivisti sono venuti a scambiare esperienze, teorie e riflessioni sull’estrattivismo a Melendugno, riconoscendo alla resistenza del piccolo comune salentino il valore della difesa globale della terra. E’ una terra straziato quella Salentina, dice il Prof. di Diritto Costituzionale Michele Carducci, messa in tensione da una serie di sollecitazioni imposte come il Tap, ma anche la gestione della Xilella, o dell’Ilva, ma che per questo rappresenta anche un laboratorio politico di un contesto mondiale, dove le popolazioni locali stanno mostrando senso civico, maturità intellettuale, desiderio di democrazia.

I campi di ulivi pugliesi feriti da voragini e zone di interdizione recintate e presidiate manifestano un aspetto dell’estrattivismo a cui nel workshop si è prestata particolare attenzione: la sottrazione e la militarizzazione dello spazio pubblico a protezione di interessi privati, l’utilizzo della forza e della repressione contro il dissenso della popolazione, la sospensione di diritti democratici e costituzionali. Gli interventi da parte dell’Osservatorio sulla repressione , la presentazione di un dossier sulla repressione in Salento, l’analisi giuridica della criminalizzazione del movimento no TAV, ma come le relazioni della Coordinamento contro la repressione poliziesca in Argentina e dell’Osservatorio dei conflitti minerari in Perù, le testimonianze di chi nel Regno Unito protesta contro la controversa estrazione del gas di scisto conosciuta come Fracking: sono accomunate dalla presenza di strategie di repressione impressionantemente comuni. Come altrettanto impressionante è rendersi conto che in ognuno di questi luoghi le strategie disegnano una sorta di “stato di eccezione”, paradigma politico dell’estrattivismo. Zone rosse, fogli di via, provvedimenti sulla base di presunta pericolosità sociale, sanzioni economiche, aggravamento delle pene, leggi speciali. E poi ci sono gli abusi, le vittime; viene ricordato all’inizio del workshop che secondo l’ultimo rapporto di Global Witness sono più di 200 i difensori dell’ambiente morti ammazzati. La maggior parte sono in America Latina, Africa, Asia. Ma anche l’ ‘Europa ha i suoi morti, l’ultimo pochi giorni fa, un giovane giornalista, durante lo sgombero della foresta di Hambach in Germania, dove centinaia di persone protestavano contro una miniera di lignite che l’avrebbe distrutta.

Questo ed altri dati fanno rendere conto che ovunque è in corso una guerra fra Stato e difensori dell’ambiente. Dove spesso lo Stato si fa cane da guardia degli interessi privati. Mentre chi viene accusato di rifiutare il progresso in relazione a egoismo, localismo e ignoranza, in realtà si oppone a quel modello economico globale palesemente ingiusto che sta portando il pianeta al collasso. In questi giorni dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC ) arriva l’ennesimo allarme : l’obbiettivo concordato a Parigi nel 2015 è già a rischio, bisogna ridurre ancora più drasticamente le emissioni di gas serra, o sarà catastrofe. Basta questo per capire chi sta dalla parte giusta.

* Fonte: Serena Tarabini, IL MANIFESTO

 

photo: By r.a. paterson [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons



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