by Leo Lancari * | 8 Settembre 2018 10:54
«Mi è arrivata questa busta dal tribunale di Palermo, vogliamo aprirla insieme?», chiede Matteo Salvini in diretta Facebook. La busta in questione contiene l’atto con cui il Tribunale dei ministri del capoluogo siciliano notifica al ministro e vicepremier la contestazione del reato di sequestro di persona aggravato «commesso nel territorio siciliano fino al 25 agosto 2018 – informa una nota del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi – in pregiudizio di numerosi soggetti stranieri». Il riferimento è alla vicenda Diciotti e ai migranti bloccati per giorni a bordo della nave della Guardia costiera. Vicenda per la quale, prima di trasmettere gli atti ai colleghi di Palermo, la procura di Agrigento aveva contestato al ministro degli Interni e al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi (che ora invece non risulta più indagato) il reato di sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, arresto illegale, abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio.
Il fascicolo intestato al ministro leghista è stato trasmesso ieri pomeriggio dai pm di Palermo al Tribunale dei ministri del capoluogo, con l’impegno di rendere pubblica la notizia solo dopo che a Roma i carabinieri avessero notificato l’atto al diretto interessato. E così è stato. Per Salvini si tratta di «un’altra medaglia», come dice lui stesso guardando in camera e facendo il gesto plateale di appendere la lettera al muro dietro la sua scrivania al Viminale. Il ministro dice di essere sereno e pronto a rispondere alle domande che i magistrati vorranno rivolgergli. E fa sapere che si farà difendere dall’Avvocatura dello Stato. Però poi va all’attacco delle toghe siciliane: «Siamo davanti alla certificazione che un organo dello Stato indaga su un altro organo dello Stato», dice. «Con la piccolissima differenza che io sono stato eletto dai cittadini, altri non sono stati eletti da nessuno e non rispondono a nessuno».
Parole che generano imbarazzo negli alleati grillini. «Il ministro può ritenere che un magistrato sbagli ma rievocare toghe di destra e di sinistra è fuori dal tempo», dice in serata il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. «Non credo che Salvini abbia nostalgia di quando la Lega governava con Berlusconi». Ma è l’unico a tentare una reazione, mentre tutti gli altri esponenti del M5S preferiscono tacere.
Chi non tace è invece l’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati per la quale le parole di Salvini «rappresentano un chiaro stravolgimento dei principi costituzionali, che assegnano alla magistratura il compito e il dovere di svolgere indagini ed accertamenti nei confronti di tutti, anche nei confronti di chi è titolare di cariche elettive o istituzionali». Attacca anche Matteo Renzi. L’ex premier definisce «farneticanti» le affermazioni del leghista e avverte: «Salvini butta tutto sulla questione immigrazione per un preciso calcolo politico. Lui sa che la Lega deve restituire 49 milioni. Sa che c’è una sentenza. E sa che gli italiani non perdonano chi ruba i propri soldi. Quindi prova a diventare un martire e cerca lo scontro coi magistrati».
Le notizie in arrivo da Palermo fanno passare in secondo piano il blitz compiuto ieri a Roma dalla polizia alla ricerca dei migranti sbarcati sempre dalla nave Diciotti e che nei giorni scorsi si sono allontanati dai centri in cui erano ospiti. Verso le dieci quattro blindati e sei macchine in borghese si presentate al campi gestito dietro la stazione Tiburtina dai volontari dell’associazione Baobab Experience e hanno fermato 17 persone. Tutti eritrei che si trovavano sulla nave della Guardia costiera, e tutti già identificati prima di lasciare la Sicilia. E proprio per questo liberi di muoversi, tanto che dopo essere stati nuovamente identificati in Questura sono stati rilasciati e riaccompagnati nel centro di accoglienza della Caritas a Rocca di Papa. «Quello del governo e del ministro Salvini è stato solo uno spot elettorale», commentano i volontari del Baobab. «Queste persone non sono clandestini e non hanno nessuna intenzione di richiedere asilo nel nostro paese. Per loro l’Italia è solo una tappa del loro lungo viaggio».
* Fonte: Leo Lancari, IL MANIFESTO[1]
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