Rivelazioni, un piano Usa per la guerra nucleare preventiva contro la Russia
Durante l’amministrazione di Lyndon Johnson, nel 1964, vennero elaborati dal Pentagono delle ipotesi di attacco preventivo alla Russia e agli altri Paesi del «mondo socialista». È quanto emerge dai documenti recentemente declassificati dal National Security Archive americano. Gli attacchi sarebbero dovuti scattare in caso di percezione di pericolo di attacco da parte sovietica o cinese.
I documenti resi pubblici confermano quanto era stato era già stato sostenuto e denunciato da tempo. Nel 1986 nel libro To Win a Nuclear War: The Pentagon’s Secret War Plans uno dei fisici più celebri del mondo – Michio Kaku – aveva già rivelato dei piani americani per lanciare una guerra nucleare preventiva contro la Russia e in parte contro la Cina. Ed è noto che negli anni Cinquanta il presidente Eisenhower aveva dato incarico per lo studio di un attacco preventivo atomico all’Urss.
I piani di guerra nucleare statunitensi del presidente Johnson (Piano operativo unico integrato (Siop) ora resi pubblici includevano non solo opzioni di «guerra preventiva in caso di allarme dell’intelligence su un imminente attacco sovietico» ma anche di attacco-rappresaglia contro obiettivi nucleari, convenzionali militari e urbani-industriali con l’obiettivo di cancellare l’Unione Sovietica «dall’appartenenza al club delle grandi potenze industriali» e distruggerla in quanto «società vitale».
Per soddisfare i Dottor Stranamore del Congresso, si legge in uno dei documenti, e «al fine di dare al presidente una gamma più ampia di scelte, si includevano due opzioni di attacco preventivo e tre di rappresaglia».
Rappresaglia che celava solo un po’ il carattere offensivo dei piani, visto che secondo una vasta ricerca condotta nel 2009 da William Burr e Svetlana Savranskaya il strike first non fece mai parte della dottrina militare sovietica: quando alcuni ufficiali militari sovietici proposero di elaborare dei progetti di attacco preventivo, il vicepresidente Alexey Kosygin respinse l’ipotesi senza discussioni.
Nelle cosiddette «ipotesi di rappresaglia» si prevedeva un attacco a tutto campo contro il blocco «sino-sovietico», ovvero contro tutti i Paesi alleati con Mosca e Pechino. Le ipotesi prese in esame però prevedevano la possibilità di deroghe verso alcuni Stati. In primo luogo nei confronti della Yugoslavia, la quale manteneva una politica estera completamente autonoma da Mosca, ma anche nei confronti della Romania, altro Paese considerato «lontano da Mosca». Nell’autunno del 1963 – è stato rivelato ora – il ministro degli Esteri Corneliu Manescu disse al segretario di Stato Dean Rusk che i sovietici non avevano consultato Bucarest durante la crisi missilistica cubana. Il ministro affermò anche la contrarietà di Ceausescu a dispiegare armi nucleari in Romania. Rusk assicurò a Manescu che gli Usa avrebbero tenuto conto di tali informazioni.
Si valutava allo stesso tempo, in questo vero e proprio «vademecum di guerra», l’ipotesi di attaccare solo una delle due «potenze comuniste».Vale la pena sottolineare che nella successiva revisione del documento, datata 1968 – ben cinque anni prima dell’inizio della diplomazia del «ping-pong» – la Cina e i suoi alleati non verranno più considerati obiettivi di possibili attacchi nucleari preventivi o di rappresaglia.
Quale sarebbe stato il prezzo che avrebbe pagato la popolazione civile nell’eventualità di tale attacco? Le valutazioni sul numero di «danni collaterali» nel Piano operativo vennero effettivamente discusse con particolare attenzione, ma purtroppo non al fine di limitare la carneficina ma solo perché «la perdite umane rappresentano un parametro primario per l’efficacia nella distruzione della società nemica». Un cinismo appena affievolito dal riconoscimento «di un dato allarmante: potrebbero essere uccisi tutti i lavoratori urbani… ma il livello di danni agli obiettivi industriali potrebbe non essere altrettanto significativo».
L’attacco avrebbe potuto causare, si valutava, un tasso di perdite del 71% nelle città sovietiche e del 53% nelle città cinesi. In una stima dell’anno precedente erano state ipotizzate 70 milioni di possibili vittime sovietiche causate da un attacco degli Stati Uniti senza preavviso. Alcuni anni dopo il famigerato generale McNamara sosterrà che un attacco solo «con missili da terra» avrebbe causato 55 milioni di vittime sovietiche.
Il raggiungimento di questo obiettivo di morte per la Cina veniva considerato più complicato perché gran parte della popolazione era ancora agricola. Il 30% di decessi della popolazione cinese totale, pari a 212 milioni di persone, «richiederebbe uno sforzo esorbitante»; poiché l’84% della popolazione viveva ancora nelle aree rurali. Per questo «l’attacco a un gran numero di aree urbane distruggerebbe solo una piccola parte della popolazione totale». Si proponeva quindi di concentrare l’attacco a solo 50 città e al 70% del potenziale industriale cinese.
Qualcuno potrebbe ritenere che tali piani criminali appartengano ormai al passato, ma così, purtroppo, non è. Secondo Daniel Ellsberg che dai tempi della guerra in Vietnam si batte contro il militarismo Usa il Piano operativo continua ad esistere e ad essere aggiornato. E commentando la pubblicazione di questi documenti Ellsberg ha affermato in una intervista a Democracy Now: «Anche ora gli Usa hanno dei piani per l’attacco first strike su ogni città della Russia e della Cina e il potere decisionale non appartiene solo al presidente, come viene comunemente affermato, ma a numerosi comandanti che hanno il potere di iniziare un Armageddon nucleare».
* Fonte: Yurii Colombo, IL MANIFESTO
photo: By Arnold Newman, White House Press Office (WHPO) [Public domain], via Wikimedia Commons
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