by Eleonora Martini * | 25 Settembre 2018 8:33
Il sindacato di polizia Silp Cgil: «L’utilizzo indiscriminato della forza pubblica per le occupazioni arbitrarie di immobili non risolve i problemi»
Pistole taser in dotazione anche ai vigili urbani; aumento delle pene per chi organizza e promuove occupazioni di immobili, e addirittura possibilità di ricorrere alle intercettazioni per prevenire e punire l’«invasione di terreni o edifici»; Daspo urbano anche dentro gli ospedali e i presidi sanitari, e Daspo per le manifestazioni sportive anche agli indiziati (per reati di terrorismo); sanzioni penali e non più solo amministrative per chi partecipa a blocchi stradali.
Sono le più importanti novità contenute nella seconda parte del «decreto Salvini» – quella riguardante «la sicurezza pubblica, la prevenzione e il contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa» – adottato ieri dal Consiglio dei ministri ma palesemente carente dei requisiti di necessità e urgenza che l’atto normativo stesso richiederebbe.
Un provvedimento evidentemente volto a colpire in particolare gli occupanti di case, i manifestanti, i senza casa – soprattutto stranieri – che si accampano negli anfratti delle città. Comunque il testo del decreto legge appare perfino leggermente mitigato, rispetto agli annunci leghisti delle settimane scorse.
Riguardo all’esecuzione delle pene, per esempio, il dl prevede l’estensione del trattamento penitenziario minorile anche per i detenuti divenuti maggiorenni, «tenuto conto del percorso normativo in atto».
Oppure anche, nel caso delle pistole taser, attualmente in uso delle forze dell’ordine dei comuni con più di 100.000 abitanti, la sperimentazione si estende “soltanto” agli operatori delle polizie municipali di quelle stesse città, e non anche agli agenti di polizia penitenziaria come avrebbe voluto il ministro dell’Interno Matteo Salvini (che conosce benissimo, però, il divieto assoluto di introdurre armi di qualunque tipo all’interno delle carceri, anche nelle situazioni più estreme).
Negli ultimi due «titoli» del decreto (dall’articolo 17 al 42) sono poi contenute norme delle più disparate: dal braccialetto elettronico da applicare anche agli imputati dei reati di maltrattamento in famiglia e stalking, fino al rafforzamento dell’interscambio informativo tra i vari corpi di polizia, compresi quelli municipali che potranno accedere alla banca dati interforze, le autorità amministrative e le autorità giudiziarie.
Dal pagamento delle indennità accessorie per le forze di polizia, fino alla possibilità di usare lo strumento delle intercettazioni (articolo 33 del dl) «nelle indagini a carico dei promotori e degli organizzatori del reato di invasione di terreni o edifici», come spiega lo stesso Viminale. Ministero che nell’era Salvini ha eletto a nemico pubblico numero uno le famiglie senza casa che occupano stabili, immobili che per la maggior parte delle volte sono sfitti e abbandonati da tempo. Con la modifica all’articolo 633 c.p., si arriva fino a quattro anni di reclusione più una multa da 206 a 2.064 euro per i promotori e organizzatori di invasioni di terreni e edifici.
Alcune novità anche in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa: aumentano le pene per i subappalti illeciti e i controlli dei cantieri; più soldi per le Commissioni straordinarie incaricate di gestire gli Enti sciolti per mafia; possibilità di nominare Commissari ad acta nei Comuni in cui sono emerse irregolarità amministrative nell’ambito dei controlli antimafia.
«Il decreto sicurezza contiene di tutto e di più», commenta a caldo Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil che, riservandosi di analizzare più a fondo il testo, fa comunque notare alcune assurdità. «L’utilizzo indiscriminato della forza pubblica per le occupazioni arbitrarie di immobili non risolve i problemi», dice puntualizzando che «occorrerebbe definire le diverse tipologie di occupazione». Nel caso di edifici, per esempio, chiede il sindacalista, «una volta sgomberati, chi li dovrà custodire e quale ente li avrà in carico? La polizia – conclude – non può diventare l’imbuto dove confluiscono tutte le competenze non esercitate da chi ne ha la titolarità».
* Fonte: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]
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