Le prigioni di Putin

by Yurii Colombo * | 11 Settembre 2018 11:02

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Umanità in cella. In un «sistema» fermo all’epoca delle purghe di Stalin, crescono le denunce di violenze e soprusi: uso sistematico dell’elettroshock, omicidi impuniti da parte dei secondini

MOSCA. Uno stanzone spoglio. La telecamera non va subito a fuoco, poi l’inquadratura si stabilizza. Un’ammucchiata, venti contro uno. Tre secondini tengono immobilizzato un detenuto, altri sei o sette si danno il cambio per picchiarlo, scientificamente, sui genitali, sulle ginocchia, sui talloni. Altri ancora osservano e ridono. E quando l’uomo perde conoscenza, acqua gelata sul viso: che soffra da cosciente.

SIAMO NEL CARCERE di massima sicurezza di Jaroslav città russa a 300 chilometri a nord-est di Mosca. Il video che documenta le torture risale all’aprile del 2017 ma è finito nelle mani di un’avvocato dei diritti umani, Irina Biryukova, solo alla fine di luglio (Irina subito dopo ha dovuto lasciare il paese perché minacciata di morte). I giornali, in primis la combattiva Novaya Gazeta, denunciano le torture, il telegiornale sorvola ma il video diventa virale.

I russi vedono con i propri occhi quello che hanno sempre immaginato: la disumanità e lo sconcio delle loro prigioni. Il giorno dopo, ed è una novità assoluta per la Federazione, la magistratura entra però in azione: 18 guardie carcercarie sono arrestate per i maltrattamenti a Jaroslav. Evgeny Makarov, il detenuto torturato, in prigione per il tentato omicidio di un presunto molestatore della sua fidanzata, è un «detenuto difficile», riottoso alle dure regole della colonia, risponde a tono alle guardie e per questo viene punito come si deve: ma non è un caso isolato. Due detenuti politici che sono passati per la stessa prigione denunciano anche loro sevizie e la detenzione in condizione di isolamento anche per periodi di 6 mesi.

IL 30 LUGLIO MAKAROV entra in sciopero assieme ad altri contro l’isolamento prolungato e il 6 agosto i detenuti di alcune sezioni del carcere si ribellano: mettono a soqquadro le celle, sfasciano e bruciano suppellettili. La ribellione è domata solo in nottata.
Con il passare dei giorni il quadro si fa più nitido, le denunce fioccano. Un attivista dei diritti umani denuncia che nel carcere n.5 della regione del Baikal la notte dopo la partita Russia-Croazia per scaricare la frustrazione per la sconfitta della nazionale russa (!) alcuni secondini torturano con l’elettroshock dei detenuti dopo averli picchiati.

ANCHE NEL CARCERE DI KERCI, in Crimea, sembra che gli agenti si dilettino con l’elettroshock. Poi è la volta dell’Associazione «Komanda» che racconta di 13 casi di maltrattamenti nel carcere di Sapetopugo. L’avvocato Gop Ovakimjana documenta l’uccisione nel carcere di Melechovo, il 6 luglio, di un detenuto da parte degli agenti di custodia.

Sei giorni prima, a seguito di uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita nel carcere circondariale di Ekaterinemburg, era morto un altro detenuto.

Il 12 agosto a Brjansk dopo che un detenuto è deceduto in seguito a delle sevizie, è arrestata una guardia carceraria e sempre negli stessi giorni un altro agente di custodia, finisce dall’altra parte delle sbarre per aver ucciso un detenuto nel carcere di Kalingrad il 6 gennaio scorso.

QUANTO EMERGE è evidentemente solo la punta dell’iceberg di un sistema carcerario in cui violenza e soprusi contro i detenuti sono la regola.

«Siamo a conoscenza di molti altri casi a Vladimir, Samara, Krasnojarsk» afferma Alexsey Sokolov, attivista dei diritti umani negli Urali. «I secondini sono spesso gente che inizia a lavorare in carcere subito dopo il servizio di leva. Gente che viene da piccole città dove non c’è lavoro. Spesso non conoscono bene le leggi e semplicemente fanno propri determinati costumi interni di servizio: il prigioniero deve obbedire e deve capire subito chi comanda in carcere», sostiene Sokolov. Si tratterebbe di un sistema di disciplinamento del detenuto impostosi negli anni Trenta, all’epoca delle purghe, e mai caduto in disuso. «Ma, al sistema sovietico di detenzione si è aggiunta oggi una nota “commerciale”. Se paghi una “retta” mensile ai secondini per essere lasciato in pace. Se puoi ricevere in carcere soldi, allora ti è permesso tutto», afferma ancora Sokolov.

«In carcere non si può avere un computer né ricevere prodotti alimentari. Le comunicazioni via mail avvengono attraverso le guardie e solo verso i familiari. Si scrive su un foglio di carta ciò che si vuole comunicare e poi ci pensano loro a inoltrare la mail» afferma Sergey Udalzov leader del Fronte di Sinistra che ha scontato 4 anni di prigione a «regime duro» per le manifestazioni anti-Putin del 2011-2012.

CHE LA SITUAZIONE possa esplodere in ogni momento, viene riconosciuto ormai dalle stesse istituzioni. Dopo le denunce di queste settimane è venuta allo scoperto la portavoce del Consiglio della Federazione, Valentina Matvienko la quale ha sostenuto che le guardie coinvolte nelle «mostruose torture» dovranno essere esemplarmente condannate. «Ma non basta – ha sostenuto Matvienko – è venuta l’ora di una riforma complessiva del nostro sistema carcerario».

FINO AD OGGI IL SISTEMA penale della Federazione Russa è stato incentrato sulla pura repressione. La maggioranza dei detenuti è in prigione per reati non gravi (condanne fino a tre anni) e la Russia è il paese con reddito pro capite sopra i 10mila dollari l’anno con il maggiore numero di detenuti in relazione al numero di abitanti (486mila su 146 milioni di abitanti, il 7,5% di tutta la popolazione detenuta al mondo). L’attività lavorativa in carcere è obbligatoria. I detenuti politici sono relativamente pochi (meno di 400), ma solo perché molti oppositori vengono condannati a ricorrenti detenzioni amministrative della durata di 30 o 60 giorni che non risultano nelle statistiche.

Tuttavia alcuni passi avanti sono stati fatti e c’è di che sperare. La popolazione carceraria dieci anni fare era il doppio di oggi (886mila detenuti) e le condizioni di detenzione sono anch’esse migliorate. Nel 2018 inoltre è proseguito l’incremento del numero di condannati a cui sono stati riconosciuti gli arresti domiciliari (oltre 100mila) e anche il numero di detenuti in attesa di giudizio si è ridotto significativamente.

* Fonte: Yurii Colombo, IL MANIFESTO[1]

 

Di Stanislav Kozlovskiy [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], da Wikimedia Commons

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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