Inge Feltrinelli, se ne va una grande figura dell’editoria italiana
Sulla scena pubblica comparve in veste di fotoreporter, poi i libri la elessero a loro ambasciatrice
È morta una grandissima figura dell’editoria italiana, Inge Feltrinelli. Come la grande dea del Neolitico, era moglie e madre degli dèi in carica, ma la sua presenza è sempre stata vitale e germinativa.
Era nata a Gottinga nel 1930, Inge Schönthal, – Ingelang, come mi disse Ingeborg Bachmann, per smentire gentilmente che avessero lo stesso nome, – da un padre ebreo e una madre protestante. Degli ebrei aveva tutte le qualità, le più brillanti e le più segrete (per queste ultime, è stato detto, furono perseguitati): la tenacia, la fedeltà, la vitalità. Una vitalità inesauribile, la sua. Su tutte le fotografie, dalla gioventù alla vecchiaia, non la si vede sorridere, la si vede ridere.
IL SORRISO È UNA FORMA LENTA e riflessiva del volto, ma il riso è attività pura, è un piccolo galoppo, salta la distanza fra gli umani, li disarciona e li prende in groppa. Se ridi con qualcuno, è tuo. Con quel riso, sempre inframezzato dalle parole, Inge ha trascinato intere generazioni di scrittori, editori, librai, studenti e ne ha fatto degli amici, per un’ora, o per la vita. Per salvarla dalla persecuzione, la madre fa fuggire il marito ebreo in America, e affida la bambina a un «patrigno», ufficiale della cavalleria nazista tedesca.
Bella come un folletto, cominciò la sua vita pubblica da fotoreporter. E l’obiettivo la portò in America e in Europa alla ricerca delle facce più scintillanti – da Hemingway a Greta Garbo, da Kennedy a Churchill, da Günter Grass a Pablo Picasso. Di molti di loro divenne amica, perché il suo passaggio, anche a distanza, lasciava una scia.
A 28 anni, ad Amburgo, a una festa dall’editore Rowohlt, conobbe Giangiacomo Feltrinelli. Due anni dopo si sposarono in Messico. Da allora, il centro della sua vita sono stati via Andegari, sede milanese della casa editrice Feltrinelli, e il mondo. Lei e Giangiacomo viaggiarono insieme in un’avventura che fu insieme letteraria e politica: lo scopo della casa editrice, nata nel 1954, era del resto quello di non fare differenza fra letteratura e politica, e di puntare per entrambe verso l’estremo. E questa era l’atmosfera che vi si respirava, quando vi andavo da ragazza per incontrare Nani Filippini o Nanni Balestrini, Valerio Riva o Sandro D’Alessandro. Un’aria densa, cospirativa, di carbonari della letteratura (fra l’altro, credo una delle case editrici in cui si è fumato di più).
Nel 1964, Giangiacomo e Inge sono all’Avana per lavorare con Fidel Castro alla sua biografia. La casa editrice era diventata celebre con Il dottor Zivago di Pasternak, pubblicato nel ’57, dopo averlo trafugato clandestinamente all’Unione sovietica; e pochi mesi dopo con Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
QUANDO, NEL ’67, Giangiacomo entrò in clandestinità, separando nella sua vita politica e letteratura, Inge assunse la gestione della casa editrice. E dal 1972, quando il marito morì (credo che la notizia la raggiunse a cena a casa dei miei), ne prese la direzione. Furono anni difficili e creativi. Per saldare i debiti, vennero comprate le librerie, che divennero poi una delle catene italiane più importanti. L’idea, anche qui, non era semplicemente commerciale, ma di sfida: quella di portare i libri ovunque. Perché entrambi credevano che fossero necessari alla vita e al benessere del popolo.
All’epoca, il figlio Carlo aveva dieci anni (e di quegli anni, della madre e del padre, racconterà nel suo bellissimo libro Senior Service). Quando raggiunse un’età compatibile, affiancò la madre nella direzione: lei presidente, lui amministratore delegato.
Nel 1983, mio padre, Valentino Bompiani, ebbe l’idea di una Scuola per Librai, che suo nipote Luciano Mauri, capo delle Messaggerie italiane, fondò, insieme a Inge Feltrinelli e Ulrico Hoepli, che ne furono da allora i più assidui promotori e collaboratori.
ERA LEI CHE INVITAVA gli ospiti stranieri alla settimana finale della Scuola, che si teneva a Venezia alla Fondazione Cini. Era la sua ambasciatrice nel mondo.
Quando gli allievi arrivavano all’isola di San Giorgio e la vedevano, ammutolivano di emozione. Perché Inge era anche, nell’animo e di fatto, libraia.
Ricordo che quando, con la mia amica Roberta Einaudi, fondammo la casa editrice nottetempo, e scegliemmo la sala dell’Arci Bellezza di Milano per il primo incontro con i librai, se ne presentarono quattro. Una dei quattro era lei. E fu lei ad accoglierci alla Scuola per Librai l’anno dopo, novizie attempate com’eravamo, e a festeggiare la nascita di una nuova casa editrice.
La trovavo poi alla Fiera di Francoforte. Anche lì, quando avanzava, sembrava avere lo strascico. So che il 10 ottobre sarà ricordata a Francoforte da tutta l’editoria. Mi domando se il padiglione dove si trova l’Italia riuscirà a contenere la folla.
PERCHÉ QUANDO MUORE una di queste figure, non solo una grande editrice, ma una capitana di ventura come lei, muore un’epopea. E sembra morire l’idea che l’ha accompagnata (non solo lei, certo, perché era l’idea di tanti editori del suo tempo), l’idea che la letteratura è una militanza, che serve alla vita e coinvolge la vita. E che il suo scopo e il suo prezzo è la libertà.
L’ho sentita in un video dire una cosa a difesa del libro di carta che non avevo mai sentito o pensato prima: non si può leggere a un bambino sulla spiaggia una fiaba di Grimm su Kindle. È vero. Ma a quale madre oggi verrebbe in mente di leggere a un bambino una fiaba sulla spiaggia? Il bambino a cui succede ancora, però, è fortunato. La sua vita è subito più larga della spiaggia stessa. E magari, domani, potrà cominciare la sua epopea.
* Fonte: Ginevra Bompiani , IL MANIFESTO
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