by Nina Valoti * | 29 Settembre 2018 9:35
Sono quelli che lavorano in prima linea, che conoscono meglio la realtà e i problemi dell’immigrazione. Ma non vengono mai ascoltati e non hanno voce.
Sono i 65mila operatori impegnati nel segmento di soccorso, accoglienza e integrazione: dai centri di identificazione, alle Ong, dai medici a chi lavora negli Sprar. Tante mansioni diverse – solo le forze dell’ordine non sono comprese – che quotidianamente vivono l’«emergenza». La Fp Cgil ha per la prima volta voluto dare voce a queste persone con una ricerca svolta assieme alla Fondazione Di Vittorio, dal titolo “La condizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici per l’immigrazione”. Un lavoro presentato nella tre giorni di Palermo per l’iniziativa continentale «UeCare – L’Europa Solidale» in cui sono stati riuniti tutti i sindacati europei che rappresentano i lavoratori dei servizi pubblici per l’immigrazione.
Dalla diretta testimonianza dei lavoratori emerge come, spiega la ricerca, «l’Italia sia ormai stabilmente un Paese di migrazioni ma che non ha mai abbandonato la logica dell’emergenza». Non sembra, infatti, «che il sistema dei servizi per l’immigrazione si sia adattato a questo scenario inedito per rispondere ai nuovi bisogni dell’integrazione, ad esempio rafforzando sia i servizi di accoglienza (per la quota di nuovi ingressi di persone richiedenti o beneficiarie di protezione internazionale) sia rispetto all’inclusione sociale e all’integrazione della componente di immigrati legalmente residenti da tempo, i quali per gran parte risultano “lungo soggiornanti” se non in procinto di ottenere la cittadinanza italiana».
Il sistema italiano dei servizi per l’immigrazione, si rileva nel report Fp Cgil e Fdv, «è il risultato di una incessante opera di collage e stratificazione di interventi, anche eterogenei tra di loro. Il mancato superamento della logica dell’emergenza ha reso particolarmente fragile la ricerca di una connessione coerente tra i vari livelli di intervento, a scapito dell’efficienza complessiva del sistema, nonché dei diritti di lavoratori e dei destinatari dei servizi». Le attività di accoglienza e integrazione si occupano di persone spesso provate da viaggi drammatici e in fuga da esperienze di violazione dei diritti umani. In un contesto di criticità e lacune dei servizi per l’immigrazione, gli utenti rischiano di vedere vanificati gli sforzi degli operatori a causa di un sistema che può produrre una spirale di esclusione: «marginalità, disagio sociale, irregolarità, e di conseguenza “paura” e rancore nella popolazione».
Sono quindi vittime di uno stigma sociale anti immigrati che ne complica le prestazioni e sono inseriti in un sistema di servizi che fatica a fare rete, schiacciato dalla perdurante logica dell’emergenza. Le conseguenze sono presto dette: «precarietà, elevata età media, fenomeni di burn-out (esaurimento da lavoro, ndr) e scarsa organizzazione».
La tre giorni di Palermo di discussione fra i rappresentanti dei sindacati dei servizi pubblici per l’immigrazione ha portato alla sottoscrizione della “Dichiarazione di Palermo” il cui obiettivo è spingere l’Europa ad adottare una politica unica sulla migrazione che metta al centro la solidarietà e i lavoratori stessi.
* Fonte: Nina Valoti, IL MANIFESTO[1]
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