Genova, l’inchiesta sul Morandi: 20 indagati tra Mit e Autostrade
Venti indagati, ma la lista potrebbe allungarsi. Per il crollo del ponte Morandi la procura di Genova ha iscritto al fascicolo delle indagini i nomi di nove dirigenti di Autostrade, otto dirigenti del Ministero delle infrastrutture e tre tre ingegneri della società in house di Autostrade Spea Engineering che avrebbe dovuto realizzare i lavori di manutenzione straordinaria del pilone che il 14 agosto scorso è crollato, trascinando nel greto del Polcevera 120 metri di autostrada e provocando la morte di 43 persone.
Non sorprende il fatto che ci sia una quasi equivalenza tra il numero degli indagati appartenenti alla società che ha la concessione di quel tratto autostradale, e di conseguenza il dovere di garantirne la manutenzione e la sicurezza, e il numero di indagato del ministero al quale per legge, da quasi sei anni, è affidata la responsabilità di controllare sul rispetto di tale obbligo da parte dei concessionari. E così Vincenzo Cinelli, il primo dirigente della direzione del Mit per il controllo sulle concessionarie autostradali, è indagato parimenti al presidente e all’amministratore delegato della società dei Benetton Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci.
Le ipotesi di reato per la quelli procede la procura guidata da Francesco Cozzi sono disastro colposo, omicidio colposo stradale plurimo e omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. «Quella dell’omicidio stradale – ha il procuratore capo Cozzi – è un’ipotesi di lavoro in una fase iniziale di indagini, ed è basata sull’assunto che la sicurezza stradale non comprende soltanto il rispetto dei comportamenti che prescrive il codice della strada nella circolazione stradale ma anche il rispetto delle regole di sicurezza delle infrastrutture su cui i conducenti viaggiano».
Gli altri indagati sono il direttore operativo centrale di Autostrade Paolo Berti, quello delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli, il direttore del primo tronco Stefano Marigliani, il responsabile del progetto di retrofitting Paolo Strazzullo, Mario Bergamo ex direttore delle manutenzioni di autostrade che per primo nel 2015 disse che era necessario intervenire sul ponte Morandi, Riccardo Rigacci e Federico Zanzarsi, dirigenti del primo tronco. Sono invece appartenenti al Mit oltre a Cinelli il suo predecessore alla vigilanza Mauro Coletta e i funzionari Giovanni Proietti e Bruno Santoro, indagati anche il capo ufficio ispettivo territoriale Carmine Testa, il provveditore delle Opere pubbliche di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Roberto Ferrazza che in un primo momento era stato messa a capo della commissione tecnica di indagine nominata dal ministro Toninelli, e i dirigenti del provveditorato Alessandro Pentimalli e Salvatore Bonaccorso. Infine sono indagati anche gli ingegneri della Spea Engineering Massimiliano Giacobbi, Massimo Bazzarelli ed Emanuele De Angelis.
Al centro delle indagine ci sono ovviamente tutte le comunicazioni che da almeno tre anni sono andate avanti tra Autostrade e Mit circa l’urgenza dei lavori di messa in sicurezza del pilone e degli stralli del Morandi che poi hanno ceduto. Per accertare le responsabilità la procura deve capire perché non si è intervenuti prima su un’emergenza che appare assodata. La guardia di finanza su mandato dei procuratori Walter Cotugno e Massimo Terrile ha già sequestrato parecchi documenti e materiale informatico. Ma proprio l’iscrizione di questi (primi?) venti nomi a registro degli indagati permetterà ai pm di svolgere gli atti «irripetibili» come interrogatori e confronti. Nei prossimi giorni.
* Fonte: Domenico Cirillo, IL MANIFESTO
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