Europa, la destra con Orbán cerca lo scontro frontale

by Anna Maria Merlo * | 12 Settembre 2018 9:26

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I governi di Italia e Austria a pezzi. Orban inneggia al “popolo” contro la democrazia rappresentativa

PARIGI. Muro contro muro. Viktor Orbán sceglie lo scontro diretto e non cede niente di fronte all’europarlamento. Il primo ministro ungherese, leader del fronte illiberale, è intervenuto ieri a Strasburgo, la vigilia del voto di oggi degli europarlamentari per avviare la procedura dell’articolo 7, una risoluzione che, se approvata, chiederà al Consiglio di “constatare l’esistenza di un rischio chiaro di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione europea”. Anche se il risultato del voto di oggi resta estremamente incerto, Orbán ha accusato preventivamente il parlamento europeo di voler “condannare” non un governo ma un popolo, “che da mille anni è membro della famiglia europea”, che sarà punito “perché ha deciso che non sarà patria di immigrati”.

Orbán: “Volete escludere un popolo”. Ha urlato: sono venuto a Strasburgo “per difendere la mia patria”, anche “contro di voi se necessario”, perché “non accettiamo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione, difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina”. Il fronte illiberale getta la maschera e afferma il disprezzo per la democrazia rappresentativa: in Italia, Salvini riprende la tesi di Orbán, il “parlamento non processi il popolo”.

Marie Le Pen lo complimenta: “Bravo! Orbán è rimasto inflessibile di fronte ai maestrini del Parlamento europeo, che calpestano la democrazia pretendendo di difenderla”. Orbán rilegge la storia e ingloba nella sua deriva autoritaria anche la rivolta contro i sovietici del ’56: “condannerete l’Ungheria che con il suo lavoro e il suo sangue ha contribuito alla storia della nostra magnifica Europa, che si è sollevata contro l’esercito più potente del mondo, quello sovietico, e che ha pagato un forte scotto per difendere la democrazia”.

Oggi l’Europarlamento vota sull’articolo 7 da applicare all’Ungheria (ci vogliono i due terzi di voti per presentare la richiesta al Consiglio, ma la procedura potrà poi essere bloccata da un veto, la Polonia è implicata in una procedura analoga avviata dalla Commissione nel dicembre 2017). Ma l’offensiva del fronte illiberale sta spaccando il Ppe, il principale gruppo parlamentare a Strasburgo con 218 seggi.

Emmanuel Macron, indicato come “nemico” principale dal fronte illiberale, qualche giorno fa ha inviato un messaggio al Ppe, perché chiarisca la sua posizione: “non si può essere contemporaneamente a fianco della cancelliera Angela Merkel e di Viktor Orbán” (in Francia, i Républicains sono già spaccati, in Germania la coabitazione tra Merkel e il ministro degli Interni Seehofer è sempre più problematica, soprattutto dopo le manifestazioni di Chemnitz e Köthen).

La Fidesz di Orbán fa ancora parte del Ppe. Oggi, tutti gli occhi saranno puntati sul voto del capogruppo, il tedesco (Csu) Manfred Weber, che ambisce alla successione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione e che ha cercato di calmare Orban, con una telefonata. Oltre a quello italiano, spaccato anche il governo austriaco, con l’Austria presidente semestrale del Consiglio Ue: il cancelliere Sebastian Kurz (Ppe) ha indicato che il suo partito voterà a favore dell’applicazione dell’articolo 7 all’Ungheria, mentre il vice-premier, Heinz-Christian Strache, dell’Fpö, ha invitato Orbán a raggiungere il gruppo dell’Europa delle nazioni e a creare un forte polo di estrema destra a Strasburgo. Per Juncker (Ppe) “l’appartenenza di Fidesz al Ppe è un problema”.

Oggi, al Ppe si conteranno i voti e l’entità della spaccatura (Forza Italia voterà contro l’applicazione dell’articolo 7, in sintonia con la Lega e l’estrema destra). A favore della procedura di sanzione dell’Ungheria ci sono la sinistra della Gue, il Pse, i Verdi, i centristi dell’Alde. Alexis Tsipras – la Grecia ha sofferto dell’intransigenza europea quando si tratta di soldi, mentre oggi il rischio del voto sull’Ungheria è di un cedimento di fronte alla difesa dei valori –  ha riassunto a Strasburgo la situazione a pochi mesi dalle elezioni europee: sarà “una battaglia di valori e di principi” e “tutte le forze progressiste, democratiche, pro-europee devono essere unite, non dobbiamo lasciare l’Europa fare un salto nel passato”.

Orbán vuole forzare la Ue, scardinarla dall’interno, ma non intende portare l’Ungheria fuori dall’Unione. I Fondi strutturali Ue sono il 4,4% del pil ungherese. La ministra delle relazioni con la Ue, Judith Varda, ha respinto “vigorosamente” il contenuto del rapporto dell’Europarlamento, redatto dalla verde (olandese) Judith Sargentini, considerato “una vendetta” per il rifiuto di Budapest di accogliere migranti. Ma l’Ungheria ha anche cercato di convincere gli europarlamentari delle sue buone ragioni. Ha inviato un documento di 109 pagine, dove pretende di smontare le critiche del rapporto Sargentini, si difende, sui Rom, sul sistema giudiziario. A luglio, la Commissione ha già contestato di fronte alla Corte di giustizia la legge anti-immigrazione dell’Ungheria.

* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO[1]

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