Con il decreto Salvini una nuova ferita allo stato di diritto
Sembrano ormai legalizzate le prassi di abbandono in mare, con il supporto dell’Unione Europea. Si stanno respingendo di fatto tutte le persone soccorse in acque internazionali con la chiusura dei porti e le pressioni sugli stati di bandiera.
Sempre più evidente appare la natura strumentale della cosiddetta zona Sar (ricerca e salvataggio) libica dichiarata all’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim).
Dal 28 giugno la Guardia costiera italiana delega sistematicamente ai libici tutti i soccorsi da operare in una zona Sar tanto ampia che non controlla nessuno. L’atteggiamento della Francia verso l’Italia è di evidente chiusura, e si manifesta anche nelle prassi illegali di respingimento adottate alla frontiera di Ventimiglia. Per nascondere i fallimenti internazionali, anche sulla mancata riforma del Regolamento Dublino, Salvini cavalca adesso il binomio allarme sicurezza-emergenza immigrazione.
In un documento sottoscritto da 40 giuristi – adottato alcuni giorni fa al Convegno di Filosofia del diritto che si è svolto a Bergamo – si mette in rilievo come «le numerose e gravi violazioni del diritto internazionale, delle garanzie del diritto penale italiano, della Costituzione e del diritto umanitario, giustificate con il supposto volere della maggioranza degli italiani, mettono in crisi lo stato di diritto e si pongono in contrasto con la fondamentale massima kantiana secondo cui si deve agire in modo da trattare gli esseri umani sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo».
Una considerazione analoga può valere se si prende in esame il Decreto legge Salvini su «sicurezza e migranti», un binomio che tradisce l’impostazione repressiva del provvedimento, peraltro privo di quei caratteri di necessità ed urgenza che legittimerebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza. Si tende a criminalizzare chi soccorre, e chi viene salvato in mare, facendo ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione, mentre si elude qualsiasi prospettiva di regolarizzazione e di ingresso legale. Di fatto si alimenta irregolarità e dunque quella «clandestinità» che a parole si dice di volere «combattere». I punti principali del nuovo decreto legge sui quali Salvini sta rilanciando la sua campagna elettorale di fronte a impegni che i partiti di governo non sono in grado di mantenere, costituiscono un attacco al ruolo di garanzia della giurisdizione e la negazione di principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.
In primo luogo, l’abolizione della «protezione umanitaria», con la riformulazione dell’art. 5 c.6 del T. U. n.286 del 1998, non è imposta da vincoli europei e risulta in contrasto con l’articolo 10 della Costituzione, di cui la norma costituisce attuazione diretta, come riconosciuto da una consolidata giurisprudenza della Cassazione. Secondo la sentenza n. 4445 del 2018, «la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell’asilo costituzionale (art. 10, c.3 della Costituzione), secondo il costante orientamento di questa Corte (Cassazione 10686 del 2012; 16362 del 2016)».
In secondo luogo, al di là dell’aumento del periodo di detenzione nei centri per i rimpatri – appena 600 posti in tutta Italia, un boomerang per chi lo propone – l’aumento del trattenimento, fino a 30 giorni, nei cosiddetti Hotspot, ancora privi di una disciplina legislativa, ed il trattenimento negli uffici di frontiera ( così come è previsto dall’art.4 del decreto) violano l’articolo 13 della Costituzione e l’art. 5 della Corte europea dei Diritti dell’uomo, perchè si introduce una forma di detenzione amministrativa già censurata dalla Corte di Strasburgo, sottratta ad un effettivo controllo giurisdizionale con una sostanziale riduzione dei diritti di difesa.
Infine, tutte le altre misure introdotte dal decreto legge: la revoca o il diniego della protezione internazionale e dello status di rifugiato per chi commette determinati reati, anche lievi; la revoca del permesso per motivi di protezione per coloro che faranno temporaneo rientro nel paese d’origine; e il sovvertimento del sistema di accoglienza, si pongono contro obblighi stabiliti dalle Direttive europee in materia di protezione internazionale, violando altresì il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione ed il divieto di non refoulement imposto dalla Convenzione di Ginevra.
La Corte europea dei Diritti dell’uomo (nella sentenza Hirsi Jamaa contro Italia del 2012) ha ribadito che il divieto di rimpatrio verso paesi nei quali le persone potrebbero essere esposte a trattamenti disumani o degradanti, ha «natura assoluta». Un principio che andrebbe ricordato anche nel caso della nave umanitaria Aquarius, che non può ritenersi obbligata ad obbedire agli ordini di riconsegna dei naufraghi alle autorità libiche. Ma evidentemente, per questo governo, il rischio di tortura o di trattamenti inumani, se avvengono lontano dalle nostre frontiere, si può anche ignorare.
* Fonte: Fulvio Vassallo Paleologo, IL MANIFESTO
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