by Michelangelo Borrillo * | 7 Agosto 2018 15:43
Lesina (Foggia). «Se non si crepa nei campi, lo si fa per strada. E bisogna pagare anche 5 euro per farsi trasportare dai furgoncini della morte». Yvan Sagnet, il camerunense di 33 anni che nel 2011, a Nardò, si ribellò ai caporali, conosce bene le campagne di Puglia. E il lungo filo rosso che le unisce, dal Salento alla Capitanata. Il rosso non è solo quello delle angurie e dei pomodori che in estate si raccolgono nell’entroterra della regione più conosciuta per le spiagge del Salento e del Gargano che per la piaga del caporalato. Il rosso è anche quello del sangue.
Il bilancio
Una lunga striscia che negli ultimi tre anni ha un punto di partenza e un punto di arrivo. Entrambi tragici. Il 13 luglio del 2015 è il giorno in cui, nelle campagne di Andria, muore la 49enne Paola Clemente, la bracciante agricola tarantina stroncata nei vigneti dove lavorava per 27 euro al giorno. Dopo la morte di Paola inizia l’iter della normativa anti caporalato, che diventa legge nel 2016. A due anni da allora, però, si continua a morire per il lavoro nei campi. «Perché anche i 16 morti sulle strade di Capitanata di questi giorni — ed eccolo il punto di arrivo della striscia — sono conseguenza di un sistema marcio che si fonda sull’illegalità e lo sfruttamento». Sagnet, che in questi 3 anni ha seguito le battaglie del Gran Ghetto di Rignano dopo aver fondato l’associazione internazionale anti caporalato No-Cap, ne è convinto. Prima ancora che lo stabiliscano i giudici, per lui i 16 giovani africani arrivati in Italia per morire nel Tavoliere delle Puglie, sono vittime del caporalato: lo scontro frontale sull’asfalto rovente dell’estate 2018 è solo una conseguenza. «Viaggiano su mezzi di trasporto insicuri, di terza e a volte anche di quarta mano, spesso non assicurati, difettosi e su strade pericolose, soprattutto in questo periodo in cui i Tir sono dappertutto». Proprio per trasportare i pomodori che gli immigrati raccolgono nelle campagne svegliandosi alle 3 del mattino. Per raggiungere quei campi, i braccianti africani pagano anche un «biglietto» di 5 euro. «E così non dovrebbe essere, perché il trasporto andrebbe regolamentato e cofinanziato dalle aziende e dallo Stato», denuncia Sagnet.
Le tariffe
Nel Tavoliere delle Puglie, il caporalato parte proprio dai furgoncini. Il listino prezzi, per braccianti africani e neo-comunitari (20 mila nella provincia di Foggia, 400 mila a livello nazionale) è identico: il trasporto con il furgone costa, appunto, 5 euro a testa e per ogni cassone da tre quintali di pomodori — pagato quattro euro e mezzo — il caporale trattiene 50 centesimi. E visto che nei furgoni si stipano anche in venti e che ogni bracciante riesce a riempire fino a quindici cassoni, il caporale incassa per ogni trasporto 250 euro al giorno. Spesso riesce a farne due e arriva a 500 euro. E se il lavoro abbonda, paga un autista 50 euro e per ogni viaggio aggiuntivo incassa altri 200 euro.
Il contratto (violato)
Fin qui le falle del sistema di trasporto. «Il contratto nazionale, inoltre, prevederebbe vitto e alloggio a carico del datore di lavoro», aggiunge Sagnet. Ma invece i braccianti continuano a vivere nei ghetti e nei casolari di campagna, con l’unica eccezione di Casa Sankara, una struttura che può ospitare fino a 250 braccianti, a San Severo. Per il resto, il Gran Ghetto di Rignano, non appena chiuso dopo un devastante incendio nel 2017 (nel quale morirono due migranti), è stato sostituito da un altro adiacente, con meno braccianti (dai precedenti 2 mila si è passati a mille) ma in continua crescita. E a sud di Foggia continua a prosperare il ghetto di Borgo Mezzanone, dove lungo una vecchia pista di atterraggio abitano altri 1.500 immigrati.
Dall’approvazione della legge anti caporalato, quindi, poco è cambiato, almeno nella prevenzione, nei trasporti e nell’accoglienza dei migranti. «Passi avanti sono stati fatti nella repressione del fenomeno — spiega Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia — ma senza un deciso intervento pubblico per i servizi di accoglienza e trasporto pubblico, continueremo a contare vittime mentre le economie criminali ingrasseranno i loro portafogli».
* FONTE: Michelangelo Borrillo, CORRIERE DELLA SERA[1]
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