Pollino, alle gole del Raganello «una frana e poi l’onda», 10 i morti

Pollino, alle gole del Raganello «una frana e poi l’onda», 10 i morti

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CIVITA (CS). Si è fermato a 10, il numero delle vittime. Gli ultimi tre giovani dati per dispersi sono stati individuati nella nottata. Si erano accampati a monte, non avevano partecipato all’escursione nel torrente Raganello. Risultavano irreperibili perché posizionati in una zona in cui i cellulari sono privi di campo.

Domenico Gioia, coordinatore delle guide ambientali escursionistiche della Calabria, ha sottolineato che tra le persone coinvolte nella tragedia non c’erano operatori riconosciuti dall’Ente Parco del Pollino e dall’Aigae. Da più parti fanno comunque notare che Antonio De Rasis, la giovane guida di Cerchiara deceduta nel disastro, era attivo nel Soccorso alpino e da tutti riconosciuto come molto esperto e prudente. Tra le ipotesi sulle cause del fenomeno che ha trasformato il torrente in una trappola, si valuta l’impatto del violento temporale che ha colpito il vicino comune di San Lorenzo Bellizzi.

Qui, in mattinata, la popolazione avrebbe avvertito un rombo simile a un tuono, proveniente dal ventre della montagna. Se questa ipotesi trovasse conferma, sarebbe stata una frana a provocare l’enorme accumulo di acqua nelle zone alte del canyon. Il tappo formato da massi e detriti sarebbe poi collassato provocando l’onda anomala di fango, alta tre metri, che ha investito gli escursionisti.

Intanto un fascicolo d’indagine contro ignoti è stato aperto dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, diretta dal procuratore Eugenio Facciolla. Ipotizzati i reati di omicidio colposo, lesioni colpose, inondazione e omissione d’atti d’ufficio. I corpi delle vittime presentano traumi da annegamento e trascinamento in acqua. Nell’ospedale di Castrovillari, dove sono stati ricoverati, i feriti hanno ricevuto la visita del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che ha rinviato ai prossimi giorni, dopo un primo momento di vicinanza e cordoglio, le opportune verifiche. Sarà determinante individuare eventuali responsabilità ed effettuare i dovuti interventi al fine di evitare che simili tragedie si possano ancora verificare.

Di gole, scarpate e paesaggi modellati dall’acqua, è pieno il massiccio del Pollino. Non si conosce il fondo di abissi come quello del Bifurto, a poca distanza dalla zona in cui fino a ieri all’alba erano impegnati i soccorritori. La roccia sinuosa custodisce grotte di immenso valore naturalistico, come quelle di Sant’Angelo, nel territorio della vicina Cassano, ogni anno visitate da migliaia di turisti. Dalla grotta delle Ninfe di Cerchiara, sgorga acqua sulfurea. In alto, il santuario della Madonna delle Armi testimonia la vocazione ascetica dell’intero paesaggio. È natura incontaminata, terra di montanari ospitali, un tempo abitata da eremiti basiliani, oggi percorsa da viandanti in cerca di storia, scenari suggestivi e tranquillità.

La vera potenza del Raganello però si coglie solo a valle. Percorrendolo, pare mansueto. Ormai quasi asciutto, a pochi passi dalla foce, trasformandosi in pietraia, il Raganello s’allarga a dismisura fino a sventrare la piana di Sibari. Così rivela il suo vero volto di fiumara. Impetuoso e bizzarro, non è la prima volta che miete vittime. È successo altre volte negli ultimi anni. E quando è andata bene, intere comitive di escursionisti ce l’hanno fatta per un pelo. Numerosi i malcapitati tratti in salvo dalle squadre di soccorso. Da queste parti, una delle maledizioni più frequenti, tra cordialità e bestemmia, recita: «Chi ti vo’ pigghia’ nu lamp».

In effetti i Sibariti da millenni si godono la mitezza di un clima addolcito dalla brezza marina, eppure hanno sviluppato l’abitudine a sollevare lo sguardo verso il Pollino dove lampi e fulmini sono di casa. Sanno che quando in basso tutto appare tranquillo, non è detto che a quote più alte non stia diluviando. Cielo e terra sono mutevoli quaggiù. Ancora più imprevedibile è l’acqua. L’anno scorso a tormentare la provincia di Cosenza è stato il fuoco, alimentato dal caldo innaturale, ma appiccato da mani criminali affamate di legname per alimentare le centrali a biomasse. Quest’anno, invece, ad orari fissi esplodono bombe di pioggia calda. Persino i più esperti si trovano impreparati dinanzi a fenomeni inediti, di cui si possono sottovalutare le conseguenze.

L’antico ponte che sovrasta il Raganello, è crollato venti anni fa, pur non essendo realizzato in calcestruzzo. Edificato in un remotissimo passato, è stato di recente ricostruito. Il fatto che quel ponticello sia stato dedicato al diavolo, in qualche modo, sembra ribadire che una volta imboccato verso l’alto, il canyon del Raganello non presenta altre vie d’uscita. Sublime nella sua bellezza, per sfuggirgli bisogna solo provare a tornare indietro. Ma a volte è vana ogni speranza.

* Fonte: Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti, IL MANIFESTO



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