by Grazia Zuffa * | 8 Agosto 2018 10:34
Ripartire da Sandro Margara, da un magistrato che tanto si è speso per un sistema penale più giusto, più umano, più garantista. L’incontro di Firenze dello scorso 29 luglio si proponeva di ricordare Margara (nel secondo anniversario della morte) traendo forza per l’oggi dal suo pensiero e dalle sue pratiche. Un’iniziativa ben ripagata, perché in tanti sono arrivati, in quella domenica di mezza estate, a discutere con passione. Nella consapevolezza che una riflessione approfondita è oggi necessaria di fronte a un governo che ha scelto di qualificarsi, anche sul piano simbolico, per la centralità del carcere a garanzia della “certezza” della pena.
Da qui il primo interrogativo: l’enfasi pan-carceraria è “solo” un facile espediente in chiave populista? Oppure il populismo è chiave di lettura insufficiente a fronte dello “slittamento” di ruolo e di senso del diritto penale nel contesto dell’architettura istituzionale democratica? È una domanda senza risposte facili, dunque va intesa come un filo di riflessione strategica attuale sulla giustizia.
In questa luce sono state riprese alcune suggestioni, come quella di Giovanni Fiandaca (Il Foglio, 26 luglio), che ha sottolineato l’uso del diritto penale come arma contro i “nemici sociali” da parte di questo governo, in aperto contrasto al garantismo liberale. E ancora è stato ricordato come il respingimento delle navi coi migranti a bordo e la chiusura dei porti configurino violazioni sia del diritto internazionale che di norme del nostro codice penale, secondo quanto denunciato da Luigi Ferrajoli in un recente appuntamento promosso dal Crs: senza peraltro alcun richiamo mediatico al governo perché rispetti la legge.
Da un lato il diritto penale e il carcere sono agitati come clava “certa” contro i socialmente indesiderati (migranti e Rom in prima linea); dall’altro, traballa la “certezza” del principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge. C’è chi può violare la legge e chi non può. “Meno stato e più galera”: così si esprimeva profeticamente Margara qualche anno fa.
Da qui lo slittamento della cornice di democrazia cui si accennava: la legge e la stessa Costituzione come “legge della legge” sembrano perdere il significato di regole di garanzia del vivere civile e di svolgimento di una corretta dialettica democratica per diventare armi “discrezionali” a disposizione della maggioranza di governo. Su questi concetti fondanti, la sintonia fra Lega e Cinque Stelle appare forte. Del resto, il tramonto della democrazia rappresentativa (a favore della partecipazione telematica) è già stato benedetto da autorevoli esponenti grillini. È il passo conseguente all’aver ridotto e stravolto la rappresentanza a casta e notabilato: cancellando il legame (di scambio e di fiducia) fra rappresentati e rappresentanti, che è parte integrante della rappresentanza stessa, in rapporto (e non in contrapposizione) alla partecipazione dei cittadini.
Come ripartire dunque? Costruendo e ricostruendo un progetto compiuto di giustizia e democrazia, con costanza, determinazione, ma anche con urgenza, si è detto. Che leghi i fili di questioni attuali, da rilanciare nel dibattito: alcune impellenti, come droghe e carcere, cronicamente ingolfato da una legge antidroga punitiva e sbagliata; e come il compimento di un nuovo sistema di misure di sicurezza dopo l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Altre più di lunga lena, l’ergastolo e il 41 bis, su cui Margara tanto ha detto senza paura di andare contro corrente.
Scriveva ironicamente Margara che “i progetti sono consentiti solo ai vecchi”. Ossia a chi – intendo io – indipendentemente dall’anagrafe, sa e vuole guardare lontano, davanti a sé così come dietro di sé. Prendiamolo in parola, è il nostro impegno comune.
* Fonte: Grazia Zuffa, IL MANIFESTO[1]
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