Legge sull’aborto, la revolución verde scuote l’Argentina
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La campagna dei fazzoletti è nata tra il 2003 e il 2004. Ed è riuscita a infrangere il muro della politica soltanto dopo che il presidente Macri ha consentito al dibattito di arrivare fino al Congresso
Per oltre un decennio in Argentina non è stato possibile svolgere al Congresso una discussione sulla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza.
Durante gli otto anni del precedente governo, quello di Cristina Fernández de Kirchner, peronista, la scusa era stata che la società non era ancora pronta. Nel frattempo, nella scuola secondaria non si faceva rispettare la norma che imponeva nei piani di studio l’inclusione dell’”Educazione sessuale comprensiva”. Una legge del 2006, infatti, stabiliva che “tutti gli studenti hanno diritto a ricevere un’educazione sessuale integrale nelle scuole private e pubbliche”, dal ciclo elementare a quello secondario. L’aborto in Argentina si esegue clandestinamente dalla creazione della nazione e il suo essere illegale uccide. Uccide le adolescenti e le giovani con meno risorse e mette a rischio la vita di centinaia di migliaia di donne ogni anno. È un problema di giustizia sociale, di salute pubblica e di diritti umani. In Argentina si registrano tra le tre e le cinque volte più aborti che nei paesi in cui esso è depenalizzato, anche perché le politiche per un’educazione sessuale completa e per la prevenzione delle gravidanze non pianificate sono carenti. In percentuale, il numero di aborti in Argentina è tre volte tanto quello degli Stati Uniti e cinque volte quello della Svezia. Quest’anno, il 1 marzo, con il suo discorso all’apertura dei lavori dell’Assemblea legislativa, il presidente Mauricio Macri ha consentito che il dibattito per una legge sull’aborto arrivasse dalla società alle aule del Congresso. E lo scorso 6 marzo è stato ripresentato per la sesta volta il Disegno di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (Ive) scritto già anni fa dalla Campagna nazionale per il diritto all’aborto sicuro e libero.
Sono 33 anni che le donne in Argentina si ritrovano ogni mese d’ottobre a livello nazionale ed è in uno di quegli incontri, tra il 2003 e il 2004, che è stata lanciata la “campagna dei fazzoletti verdi”, pensata, creata e sostenuta da allora da un piccolo gruppo di femministe e attiviste per i diritti delle donne.
Per riuscire affrontare questo dibattito nella società, il Paese sudamericano, giovane rispetto all’Italia, ha dovuto prima dibattere l’importanza dei diritti umani e curare le ferite lasciate dall’ultima dittatura militare del 1978.
A partire dal 2015, anche a seguito dell’elevato numero di femminicidi registrato dall’ong La Casa del Encuentro (in Argentina ogni 30 ore muore una donna), il movimento delle donne è riuscito a trasmettere alla società una consapevolezza sull’importanza dei diritti e del rispetto verso le donne. In questo contesto la parola aborto ha smesso di essere tabù nella società argentina.
Il progetto di legge, la cui discussione è iniziata lo scorso 18 marzo, stabilisce il diritto delle donne di interrompere volontariamente la gravidanza fino alla 14a settimana di gestazione e oltre questo termine qualora sia a rischio la vita o la salute della donna e in caso di stupro o di gravi malformazioni fetali, analogamente a quanto stabilisce la legge sull’aborto spagnola. Inoltre, gli aborti dovranno essere praticati sia negli ospedali pubblici sia in quelli privati.
La prima parte del dibattito, durata circa due mesi, ha portato a una parziale approvazione il 13 giugno dopo un’ampia sfilata di “testimoni” pro e contro al Congresso: dal ministro della Sanità, che è a favore della sua legalizzazione, ad attrici, scienziati, studentesse, attiviste femministe, vittime e altri rappresentanti.
Questa settimana, a partire da domani, i senatori delle 23 province argentine voteranno perché il diritto all’interruzione della gravidanza diventi legge oppure no. In piazza a Buenos Aires in queste ore si attendono più di 3 milioni di persone, a favore e contro. In Argentina, le donne stanno facendo storia perché sanno che hanno la possibilità di scegliere se diventare madri, e poterlo fare protette da un quadro giuridico equivale a difendere le proprie vite.
Traduzione di Marina G. Parada
* Fonte: IRUPÉ TENTORIO, LA REPUBBLICA
photo: By Prensa Obrera [CC BY 4.0 ], via Wikimedia Commons
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