Il ministro Bonafede e il governo azzerano la riforma della carceri

by Eleonora Martini * | 4 Agosto 2018 9:16

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È al grido di «certezza della pena» che il governo giallo-verde ha di fatto sterilizzato la riforma dell’ordinamento penitenziario voluta dal precedente ministro di Giustizia, Andrea Orlando, e concepita dalla Commissione coordinata dal giurista Glauco Giostra al termine di un lungo lavoro di studio nell’ambito degli Stati generali del carcere.

Giovedì sera, infatti, sul traguardo dei termini di scadenza, il Consiglio dei ministri ha riscritto il decreto legislativo, in attuazione della delega ottenuta dal parlamento il 23 giugno 2017, che in via preliminare era stato adottato dal precedente governo il 16 marzo scorso. E lo ha svuotato completamente di senso, cancellando in particolare quel decreto attuativo che ampliava le possibilità di ricorso alle pene alternative al carcere e, soprattutto, eliminava gli automatismi nell’esecuzione della condanna affidando invece maggiore discrezionalità alla magistratura di sorveglianza di decidere caso per caso il percorso punitivo/rieducativo di ciascun condannato.

Il ministro pentastellato Alfonso Bonafede in questo caso ha mantenuta la promessa fatta da tempo di azzerare il cuore di una riforma sbandierata urbi et orbi come «svuota-carceri» e «salva-ladri». Ma che invece, come dice al manifesto Andrea Orlando commentando la notizia, «ci avrebbe avvicinato a tutti gli altri Paesi europei, anche a quelli governati dalle destre».

Naturalmente, hanno una visione opposta, i due ministri di Giustizia. Per Bonafede il provvedimento giallo-verde «è un buon punto d’equilibrio dei due principi contenuti nel contratto di governo: certezza della pena e dignità della sua espiazione. Partendo da un presupposto irrinunciabile: il rispetto del Parlamento», come scrive su Fb riferendosi al parere negativo emesso dalla commissione Giustizia del Senato quando era presieduta dal centrista D’Ascola.

Invece per Orlando (che ora si dice ancora più «rammaricato di non aver trovato sempre sostegno, nel suo governo» e di aver dovuto così lasciare in balia del M5S e della Lega la riforma) il nuovo decreto legislativo «è un errore e rappresenta un’occasione persa». Perché, spiega l’ex Guardasigilli, ripristinando gli automatismi che impongono lo stesso trattamento penale a tutti i condannati, indipendentemente dalla loro condotta o dalla volontà di seguire un percorso di riabilitazione e reinserimento sociale, «non rimuove le cause che aumentano la probabilità di recidiva, e perciò non garantisce la tanto sbandierata sicurezza».

Sembrerebbero state invece mantenute le norme di minimo buon senso proposte dalla Commissione Giostra. Almeno stando al post del ministro Bonafede che parla di «assunzione di mediatori culturali e interpreti che agevolino la vita in carcere dei detenuti stranieri», di «formazione professionale, lavoro e partecipazione a progetti di pubblica utilità», di «accesso ad attività volontarie, culturali e all’istruzione», e di affermazione del «diritto all’affettività attraverso il principio per cui si debba scontare la pena in un luogo vicino alla propria famiglia».

Per il Garante dei diritti dei detenuti, che attende di leggere il testo del decreto prima di dare un giudizio definitivo, l’annullamento delle nuove norme sulle misure alternative non è un buona notizia. Per l’approvazione definitiva, il Garante spera ora che almeno siano stati salvati i punti di delega «riguardanti l’assistenza sanitaria, la cura del disagio mentale, la vita detentiva, il mantenimento delle relazioni affettive, i colloqui, il lavoro». Se così non fosse, scrive l’ufficio di Mauro Palma, «allora occorrerà il parere, consultivo ma obbligatorio, delle Camere e del Garante nazionale».

* Fonte: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]

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