Il governo blinda il voto sulle motovedette per la Libia
Andrà in votazione alla Camera domani il ddl di conversione del decreto (già approvato dal Senato) con cui l’Italia cede a titolo gratuito al governo libico dodici motovedette per il controllo delle coste. Si tratta di dieci unità navali CP classe 500 in dotazione alla Capitanerie di Porto e due vedette da 27 metri, classe Corrubia, in dotazione alla Guardia di finanza. È previsto poi uno stanziamento per il 2018 di 2.520.000 euro per manutenzione dei mezzi e addestramento del personale di Tripoli.
L’ITER IN AULA comincerà con la pregiudiziale di costituzionalità presentata da +Europa con Riccardo Magi, che spiega: «Con il decreto motovedette stiamo dando strumenti, assetti della nostra Guardia Costiera e della nostra Guardia di finanza per rafforzare quella di uno stato che non esiste, per riportare persone salvate in mare in un paese non sicuro. Il salvataggio della vita in mare è un obbligo di legge e, in termini tecnico-giuridici secondo il diritto nazionale e internazionale, il salvataggio termina quando la persona che è in pericolo viene condotta in un “posto sicuro”, cioè un posto in cui non rischi ancora la vita e di vedere violati i propri diritti fondamentali. I mezzi, invece, serviranno a compiere un respingimento delegato».
IL DECRETO cita il Trattato di amicizia del 2008 siglato dal governo Berlusconi con Gheddafi, la Dichiarazione approvata a Tripoli nel 2012 dall’esecutivo Monti e, infine, il Memorandum d’intesa sotto l’egida di Paolo Gentiloni e Marco Minniti. «Dall’epoca di Gheddafi a oggi la situazione in Libia è sempre più drammatica. È persino peggiorata nell’ultimo anno – prosegue Magi – con i trafficanti che acquistano i migranti anche nei centri ufficiali per trasformarli in schiavi nei campi, nei cantieri o per estorcere denaro ai parenti. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu l’8 giugno ha sanzionato sei individui che gestiscono i traffici di esseri umani, tra loro c’è Abd Al-Rahman Al-Milad comandante della Guardia costiera di Zawiya. In Libia non c’è uno stato, c’è un consiglio presidenziale separato da un parlamento, più una serie di altre entità tribali o familiari. Non due governi ma nessun governo». Secondo l’Oim, nel paese sarebbero bloccati quasi 680mila migranti provenienti da 42 stati, l’8% minorenni.
L’APPROVAZIONE del decreto è stata blindata dal governo giallo verde e infatti porta la firma del premier Giuseppe Conte e dei ministri Matteo Salvini, Danilo Toninelli, Enzo Moavero Milanesi e Giovanni Tria. Salvini è il primo artefice della battaglia per i respingimenti in subappalto, che si legano alla circolare ai prefetti per limitare le richieste di protezione, alla direttiva per spostare fondi dall’accoglienza ai rimpatri e, in fine, al decreto sicurezza (a cui sta lavorando) per il contrasto all’immigrazione. Per placare le timide proteste dem, Salvini venerdì ha spiegato: «Stiamo preparando un progetto che prevede almeno un miliardo di investimenti per sostenere l’economia in Africa. L’Europa fa accordi commerciali con quasi tutti questi paesi. Abbiamo chiesto che qualsiasi accordo commerciale futuro preveda anche i rimpatri». I 5S devono fare i conti con le due anime del movimento. Durante la discussione a Montecitorio, Mirella Emiliozzi se l’è cavata così: «Se abbiamo a cuore i diritti umani non possiamo che attivarci in ogni sede possibile affinché la Libia possa tornare a dotarsi di uno stato sovrano e indipendente. Questo è lo spirito del provvedimento in oggetto. E i mezzi navali sono uno degli strumenti imprescindibili».
EPPURE IL PRESIDENTE della Camera, Roberto Fico, martedì aveva detto: «Non credo che la Libia sia un porto sicuro: la Libia non è un luogo sicuro e lì ci sono molti migranti detenuti in luoghi dove manca la tutela dei diritti umani». Anche il Pd è bloccato dalle sue contraddizioni. Il decreto è in linea con la politica di Minniti, bandiera del governo Renzi. Al Senato i dem hanno votato a favore, smarcarsi alla Camera diventa difficile ma bisogna fare opposizione in qualche modo. Così si procede in ordine sparso. Piero Fassino ha chiesto una discussione sulle condizioni in Libia, Graziano Delrio «monitoraggi» nei centri di detenzione, Matteo Orfini vuole votare no «per quello che sta emergendo sulle condizioni dei campi libici».
ALLA VIGILIA DEL VOTO, ieri, Laura Boldrini di Leu ha attaccato: «Il decreto non è emendabile, bensì da respingere in toto perché la collaborazione con Tripoli non prevede una sola garanzia sui diritti umani. Lega e 5S sono i più esperti nel costruire la politica dell’odio volta a creare un capro espiatorio, nella maggior parte dei casi il migrante, il diverso, il più debole». La replica grillina: «Non fa che alimentare lei stessa un clima d’odio».
* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO
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