Genova, i funerali dimezzati di una città spezzata
GENOVA. Terminano le esequie, i feretri delle vittime sono in fila accanto all’altare. Il grande padiglione Jean Nouvel della Fiera di Genova si svuota lentamente. Restano, vicino alle diciannove salme, i familiari colmi di dolore. Al fondo della sala si alzano applausi e cori: «bravi», «tenete duro», «avanti così». È la «passerella» d’uscita dei vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, seguiti dal ministro Danilo Toninelli. Scatti, selfie e strette di mano. L’effetto è straniante, ma sintomatico del momento e, forse, del consenso ottenuto con le ultime roboanti uscite.
IERI, è stato il giorno dei funerali di Stato «a metà» per le vittime del crollo del ponte Morandi. La decisione di una cerimonia istituzionale non è stata, infatti, condivisa unanimemente dai familiari. Oltre la metà ha deciso di rinunciarvi. Chi per esplicita polemica, come nel caso dei familiari dei ragazzi di Torre del Greco («è stato un omicidio di Stato»), chi per motivi personali. I morti, intanto, sono saliti a 43: è stato trovato l’ultimo disperso, Mirko Vicini, 30 anni, operaio Amiu, ed è deceduto uno dei feriti, Marian Rosca, autista romeno di 36 anni. Il cittadino tedesco di cui non si avevano più tracce ha avvisato la Prefettura dicendo di star bene.
RIPARTIRE dalle macerie non è semplice. La ferita per Genova è profondissima: nell’anima, nel presente e nel paesaggio di una città abituata a soffrire ma soprattutto a reagire. Lo ha detto con efficace sintesi, nell’omelia, il cardinale Angelo Bagnasco: «Il viadotto è crollato, era una via necessaria per la vita quotidiana di molti, un’arteria essenziale per lo sviluppo della città. Genova, però, non si arrende».
«COM’È potuto succedere?», i familiari non si danno pace. Henry Diaz Henao aveva 30 anni, la sua macchina è precipitata giù insieme al ponte. Il fratello Emanuel, che ha riconosciuto l’auto in diretta tv, lo racconta come «un ragazzo determinato e felice, studente di ingegneria e impegnato nella cooperazione internazionale per aiutare i bambini colombiani, il nostro paese di origine». All’università lo chiamavano «principe», per i suoi modi gentili. Gloria, sua compagna di studi, lo ricorda insieme a Bianca, Riccardo e Sara come un ragazzo che «sapeva farsi voler bene, generoso e tenace». Bruno Casagrande, 57 anni, operaio precario dell’Amiu, l’azienda che gestisce i rifiuti, è rimasto sepolto da massi enormi d’asfalto insieme al collega Mirko Vicini. Entrambi avevano firmato un contratto stagionale, di durata trimestrale. Il fratello di Bruno, seduto su una carrozzina, non vuole abbandonare la bara e, in lacrime, tiene stretta una maglia verde dell’Amiu appoggiandola sul feretro: «Sono nella disperazione più totale», dice. La zia di Luigi Matti Altadonna, 35 anni padre di quattro figli, reclama «verità». Ha percorso tutta l’Italia per dare l’ultimo saluto al nipote: «Ho avuto paura a ogni ponte attraversato, troppe infrastrutture sono vecchie e inadeguate». Luigi, martedì, era a bordo di un furgone e stava lavorando prima della pausa di Ferragosto.
SONO CINQUEMILA i genovesi che hanno partecipato alle esequie di Stato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è fermato a parlare con alcuni parenti: «Un Paese unito rende anche più forte ed efficace la severità per l’accertamento delle responsabilità, che vanno perseguite con rigore», ha detto.
QUELLO di ieri alla Fiera di Genova è stato un funerale dove applausi e fischi hanno giocato il proprio ruolo mediatico. Fischi hanno accolto esponenti Pd, dall’ex ministro Roberta Pinotti al segretario Maurizio Martina, mentre applausi prolungati si sono levati per i rappresentanti del governo Di Maio, Salvini e Toninelli. Gli alfieri dell’esecutivo gialloverde hanno offuscato il premier Giuseppe Conte. Un più sobrio Roberto Fico, l’ultima tra le autorità ad abbandonare la sala, ha dichiarato: «I familiari delle vittime ci hanno dato un grande insegnamento e chiedo scusa, anche se non è mia colpa oggi, a nome dello Stato per quello che può non aver fatto negli ultimi anni. Le scuse sono sempre una parola importante».
Invisibili ma presenti Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci, rispettivamente presidente e ad di Autostrade per l’Italia. Per pochi minuti è apparso anche Beppe Grillo che si è confuso tra i familiari delle vittime.
LA LETTURA dei nomi delle vittime ha commosso l’intero padiglione. «Qualunque parola umana, seppure sincera, è poca cosa di fronte alla tragedia, così come ogni doverosa giustizia nulla può cancellare e restituire», ha sottolineato il cardinale Bagnasco. Al termine della funzione si è svolto un momento di preghiera per le vittime di fede islamica. «Il crollo di un ponte, fisico o metaforico, provoca sempre un gran dolore perché è simbolo di unità», ha detto l’imam di Genova Salah Hussein. «Preghiamo perché la pace sia per tutti voi, per l’Italia, per gli italiani». Parole accolte da un lungo applauso. Molti, infine, gli attestati di stima per i Vigili del fuoco.
Le troupe ripartono dopo giorni di dirette tv. Genova colpita al cuore teme l’isolamento. È venuto il momento, contemporaneamente alla difficile elaborazione del lutto, di immaginare un futuro diverso. Oltre l’emergenza, preferibilmente sostenibile.
* Fonte: Mauro Ravarino, IL MANIFESTO
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