by Mauro Ravarino * | 17 Agosto 2018 9:17
GENOVA. Maria si è seduta su una delle panchine di via Fillak per riprendere fiato, dopo aver fatto di corsa la valigia. Poca roba, solo beni di prima necessità, recuperati grazie ai Vigili del Fuoco. «Abitavamo qui da un mese, avevamo appena finito di sistemare casa. Ho una bimba di tre mesi e ora non riesco a immaginare il futuro della mia famiglia. Ho paura». Occhi grandi, parole centellinate, è originaria dell’Ecuador e vive da dieci anni a Genova; abitava fino a mercoledì in uno dei condomini sotto il ponte Morandi. «Ricordo un boato spaventoso, pensavamo a un terremoto, siamo scappati. Ricordo lavori incessanti per tutta la notte prima del crollo. Quell’insostenibile rumore del martello pneumatico fino alle 5 di mattina». Maria ha fatto la fila con il trolley vuoto, come tanti altri sfollati di questa via diventata «zona rossa», perché il pilone del viadotto viene considerato pericolante. Il numero di chi è senza casa è arrivato a 632. Escono dai palazzi con gli sguardi verso il vuoto.
C’È UN SILENZIO STRANIANTE, lontano anni luce dalle polemiche strumentali che nei talk-show e social network. Si continua a scavare tra le macerie. Il bilancio resta provvisorio: 38 i morti accertati, tra i 9 feriti critici due sono in pericolo di vita. Il procuratore capo Francesco Cozzi ha detto che «ci potrebbero essere ancora 10, 20 persone disperse». Sabato i funerali di Stato alla Fiera, celebrati dal cardinale Bagnasco alla presenza del presidente Sergio Mattarella. Genova prova a ripartire con difficoltà e la preoccupazione di un contraccolpo economico: c’è chi parla di 50mila posti di lavoro a rischio. L’Autorità portuale valuta se tenere aperti i terminal anche di notte, per consentire ai tir carichi di merce di non bloccare la viabilità cittadina. Nel territorio comunale la metropolitana è attiva 24 ore su 24 e fino a domenica si potrà transitare sulle corsie gialle destinate al trasporto pubblico. In arrivo percorsi autostradali alternativi. La bassa Valpolcevera era il luogo dell’operosità genovese.
DOVE C’ERA L’ITALSIDER ora è rimasta un’enorme pressa, monumento del tempo che fu: la circondano centri commerciali a pochi passi dal «cratere» sull’A10. La scena resta apocalittica. Sul greto asciutto del torrente Polcevera si alternano i mezzi del soccorso. Le ruspe scavano tra i blocchi di cemento collassati. In alto, si erge lo squarcio nel panorama classico di questo pezzo di città: il ponte diviso in due, sul lato sinistro il camion con la scritta Basko, diventato icona della tragedia. Immobile a bordo del precipizio.
Gianluca, 23 anni, mostra uno scatto dal suo smartphone, segna le ore 11,54 di quel martedì maledetto: «Tornavo a casa da Sestri Ponente, la pioggia era fitta, a un certo punto sul ponte di Cornigliano il traffico va in tilt, non capisco, qualche minuto dopo alzo lo sguardo, il “ponte di Brooklyn” non c’è più. Abito a due passi, la mia casa è la prima fuori dalla zona invalicabile. I miei zii sono, invece, sfollati».
SONO 45 GLI ALLOGGI di Arte Genova (l’istituto delle case popolari) e del Comune che da lunedì verranno messi a disposizione per altrettanti nuclei familiari sfollati. Altri 300 verranno predisposti entro due mesi. Lo annunciano il presidente della regione Liguria Giovanni Toti e il sindaco Marco Bucci. Ieri, il vicepremier Matteo Salvini, mimando una sinistra enfasi berlusconiana, ha assicurato: «Le case verranno demolite tutte e l’impegno è di ridare entro la fine dell’anno un’abitazione a tutte le persone che per motivi di sicurezza le hanno dovute abbandonare».
In via Fillak non è condivisa l’idea che il ponte fosse un pericolo imminente. Per alcuni, i più giovani, era parte del paesaggio, assimilato alla routine. I più anziani, invece, lo temevano. Ma nella fragile Genova si convive, purtroppo, con l’idea del rischio imminente che non può essere cancellato da una certa retorica sulla Gronda.
«IL PROGETTO, così com’è stato ultimamente definito, non avrebbe previsto la sostituzione del ponte Morandi – spiega Mauro Solari, ingegnere, uno degli oppositori tecnici – che avrebbe, infatti, continuato a funzionare anche per il transito mezzi pesanti. Sarebbe stato alleggerito dal traffico di attraversamento, solo il 20% del totale; il resto ha, invece, come origine o destinazione Genova, essendo un’importante arteria cittadina. La Gronda è una costosa opera dagli enormi impatti ambientali, che porterebbe in superficie 18 milioni di tonnellate di rocce potenzialmente amiantifere. C’erano e ci sono alternative sostenibili, come il progetto di continuare la strada a mare, da Cornigliano oltre Sampierdarena, con un tunnel sotto il porto di Genova, che sarebbe diventato una strada cittadina a tre corsie per senso di marcia. Utile sarebbe la quadruplicazione del nodo ferroviario tra Genova Voltri e Genova Principe, anche come metropolitana urbana, perché è con i mezzi pubblici che si risolvono i problema non con quelli privati».
LA PROCURA di Genova sta procedendo alla nomina dei consulenti tecnici che dovranno provvedere ad acquisire i reperti documentali e materiali che potranno servire per accertare le cause del disastro. L’indagine, coordinata dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, al momento è carico di ignoti. Gli scenari sono molti e ampi: «Si va da possibili errori di progettazione, o nella fase di esecuzione o anche in quella di manutenzione. Solo dopo aver chiarito questo, si potrà capire chi ha delle responsabilità – spiega il procuratore Cozzi -. Quello che è certo, è che si esclude l’accidentalità. Si tratta di un errore umano». La procura acquisirà tutti i video necessari. Le ipotesi di reato sono omicidio colposo, disastro colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti.
* Fonte:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/08/genova-dopo-il-crollo-sotto-i-ponti/
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