by Matteo Bortolon * | 4 Agosto 2018 9:55
L’estate del 2018 è densa di anniversari in relazione alla vicenda della Grecia e del suo destino politico. A luglio 2015 molte persone scendevano in piazza per sostenere le ragioni del referendum indetto dal governo in merito alle richieste della Troika. Syriza accettava di firmare un terzo memorandum della durata di tre anni, la cui scadenza cade ad agosto 2018. Molte voci si sono spese a favore del fatto che la Grecia avrebbe superato positivamente una fase difficile; voci che spaziano dalle più ortodosse alte sfere europee fino a lambire commentatori ed attivisti appartenenti alla sinistra radicale. L’importanza del dibattito impone la necessità di fare un bilancio.
I dati fondamentali vedono una continuità netta. La spesa pubblica è caduta in maniera rilevante: se nel 2008 rappresentava il 50% del Pil, le valutazioni per il 2017 (e le proiezioni per il 2018 sono dello stesso tenore), la vedono cadere al 48%. Ma la percentuale è ingannevole perché il Pil è calato di molto. In termini assoluti la spesa pubblica è passata da 123 miliardi di euro a 86 miliardi, una caduta di quasi un terzo; con un Pil caduto da 249 a 190 mld. Una contrazione inedita probabilmente in tempi di pace nelle economie avanzate. Con un debito pubblico passato da 241 mld (109% sul Pil nel 2008) a 177 mld nel 2017, che rappresenta ben il 181% rispetto al Pil.
Il recentissimo rapporto del Fondo Monetario (31 luglio 2018) presenta previsioni piuttosto ottimistiche, pur ammettendo che la crescita è stata inferiore alle previsioni. Ma compaiono anche degli indizi preoccupanti, per esempio che una sentenza favorevole della Corte costituzionale sulle pensioni metterebbe a rischio il consolidamento fiscale! E si afferma che la ricerca ossessiva di avanzi primari (cioè di fare risparmiare lo Stato inducendolo ad una spesa minore rispetto alle entrare in misura rilevante) è negativa per la crescita.
Secondo gli accordi, infatti, la Grecia dovrebbe produrre un avanzo primario del 3,5% rispetto al Pil nel 2018 e aumentarlo al 4,3 nel 2022, come è detto nel Rapporto di Conformità della Commissione. Pochi economisti sono disposti a scommettere su di un esito del genere, uno scenario che Michel Husson nel suo importante articolo «Un long calvaire s’annonce pour la Grèce» sul sito del Cadtm definisce «delirante».
Forse se le istituzioni della Troika non rinunciano alla mordacchia al paese non ci credono in fondo nemmeno loro. Perché contrariamente all’opinione diffusa per cui il paese ellenico riguadagnerebbe la sua sovranità con la fine del terzo memorandum, si legge invece nelle conclusioni dell’eurogruppo del 22 giugno che «l’eurogruppo esaminerà nel 2032 (sic!) se occorreranno misure supplementari». E Klaus Reglin, il capo del Mes (organismo che nominalmente concede il credito al paese e che ne fissa le condizioni) ha detto in un’intervista che «la sorveglianza durerà finché le somme non verranno rimborsate». Lo stesso suggerisce sfumature sinistre del processo, che da soggezione contrattuale sfuma nella virtù morale, in quanto «la messa in opera delle riforme è una missione permanente; non è mai raggiunta».
Non troppo rassicurante, dato che qualche giorno prima aveva detto che «ritrovare la fiducia degli investitori implica un impegno totale per le riforme, ma questo nel caso della Grecia potrebbe non bastare (corsivo nostro)». Non si sa cosa basterebbe, ma di certo suona come un avvertimento poco amichevole
* Fonte: IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/08/cosa-rimane-della-grecia-post-memorandum/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.