Con Marielle Franco, dal pianto alla lotta

Con Marielle Franco, dal pianto alla lotta

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La scomparsa di Marielle Franco, l’attivista e consigliera comunale del Psol a Rio de Janeiro assassinata il 14 marzo scorso insieme all’autista Anderson Pedro Gomes, ha lasciato nella vita della madre – l’avvocata di origini nordestine Marinete Silva – «un vuoto che non è possibile misurare».

È un dolore «senza fine» che si è saputo però trasformare in lotta: per tenere viva la memoria di Marielle, assicurando che il seme da lei piantato produca frutto, e per ottenere verità per un crimine che, malgrado i progressi nell’indagine, è ancora lontano da una soluzione.

In visita a Roma con altri membri di una delegazione giunta dal Brasile per esprimere a papa Francesco le preoccupazioni della società organizzata sulla caotica situazione del Paese, Marinete Silva ha accettato di parlare con il manifesto della tragedia che ha colpito la sua famiglia.

Questi ultimi mesi devono essere stati per lei immensamente duri. Come è cambiata la sua vita dopo quel tragico 14 marzo?

Convivo con un dolore senza fine che mi accompagna sempre, con un vuoto che non è possibile misurare. Marielle è stata una donna estremamente determinata e combattiva, un simbolo di resistenza, una lottatrice instancabile in difesa delle donne, dei neri, dei poveri, delle minoranze. Unica consigliera comunale nera di Rio, la quinta più votata alle elezioni comunali del 2016 con ben 46.502 voti, è stata capace di sfidare il sistema in un Paese in cui i difensori dei diritti umani muoiono più che in qualsiasi altra parte del mondo. Prima della sua esecuzione, però, non aveva ricevuto alcuna minaccia. Nessuno di noi poteva aspettarsi questo crimine così brutale.

Come si presenta ora la situazione a Rio? È cambiato qualcosa con l’intervento dei militari ordinato dal presidente Michel Temer e denunciato con forza da Marielle?

La tragedia di Marielle non è certo l’unica, a Rio è in atto uno sterminio di giovani neri. E le cose non sono certo migliorate con l’intervento dei militari. Mia figlia era radicalmente contraria alla militarizzazione della sicurezza pubblica a Rio e la combatteva apertamente. Era anche a capo della Commissione incaricata di monitorare l’azione della polizia federale. Probabilmente è questo che l’ha condotta alla morte. L’operazione doveva rappresentare un laboratorio per l’intero Paese e invece si è rivelata un fallimento totale: non sta producendo alcun risultato e per di più comporta una spesa enorme.

A che punto sono le indagini? Come valuta il fermo dell’ex membro della polizia militare Alan Nogueira e dell’ex pompiere militare Luís Carlos Ferreira Barbosa?

Siamo in attesa di ricevere qualcosa di più concreto. In realtà, dopo quasi 5 mesi dall’assassinio di Marielle, ancora non sappiamo chi l’ha uccisa e per quale motivo. Che democrazia è mai questa in cui una consigliera comunale viene brutalmente ’ta e dopo tutto questo tempo si ignorano ancora i responsabili? Ma quello di mia figlia è un caso emblematico, con molti fili che devono essere collegati. E io ho piena fiducia nell’équipe degli investigatori. Ho bisogno di credere nel lavoro della polizia. E malgrado il silenzio delle istituzioni pubbliche, non possiamo perdere la speranza. Io di certo non mi fermerò.

Il Guardian ha definito il suo assassinio «the death of a Champion». Tutto il mondo – compresa l’Italia – ne ha pianto la scomparsa. Si aspettava una tale ondata di indignazione e di solidarietà?

Ero consapevole dello straordinario lavoro che portava avanti, ma non sospettavo che avesse una tale rilevanza. Il suo era un impegno che aveva avuto inizio molto prima del suo ingresso nel Consiglio comunale, prima ancora del suo lavoro presso la Commissione per la difesa dei diritti umani dell’Assemblea legislativa dello Stato di Rio, dove per dieci anni Marielle ha operato a favore dei diritti delle donne nere, dei giovani delle favelas, della comunità Lgbt e di altri gruppi emarginati. Aveva cominciato come catechista, si era impegnata nella sua comunità della Maré e poi aveva studiato sociologia alla Pontificia Università Cattolica di Rio con una borsa di studio integrale.

Ha sempre difeso tutti, intransigente nei confronti di qualunque violenza o discriminazione, e lo ha fatto per tutta la vita, anche se in maniera più combattiva e diretta da quando era stata eletta consigliera comunale. All’inizio io non volevo neppure che si candidasse: ero preoccupata perché era già impegnata su tanti fronti. Ma nessuno poteva farle cambiare idea. Voleva che la sua voce risuonasse più forte e incisiva, che le sue cause ricevessero visibilità anche all’interno delle istituzioni politiche.

Cosa si sta facendo per preservare la sua memoria?

Il 27 luglio scorso, il giorno del suo compleanno, è stata lanciata l’associazione Marielle Franco con l’obiettivo di difenderne l’eredità e continuare a tenerne viva la memoria in maniera coerente. Anche perché c’è chi vuole approfittare della straordinaria visibilità della sua figura per i propri interessi. La cosa bella è che diverse organizzazioni di diritti umani usano il nome di mia figlia per combattere le disuguaglianze e sei accampamenti del Movimento dei Senza Terra oggi portano il suo nome. È una forma di risarcimento e di riconoscimento del suo lavoro.

C’è stata anche la telefonata del papa…

Sì, ha telefonato appena prima dell’inizio della messa del settimo giorno. È stato molto emozionante. Luyara, la figlia che Marielle ha avuto a 19 anni, aveva inviato una mail all’indirizzo ufficiale del papa chiedendogli di pregare per la madre. Ma non ci aspettavamo certo che ci telefonasse per esprimere il suo affetto e la sua solidarietà.

* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO



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