Sì, no, può darsi. Sulla Tav siamo alla sceneggiata di governo
Siamo alla sceneggiata. Il ministro delle infrastrutture Toninelli rompe un troppo lungo silenzio e, confermando il «contratto di governo», dice, finalmente, che la Torino-Lione va «integralmente ridiscusso».
Toninelli aggiunge inoltre che, nell’attesa, «nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera, perché ciò costituirebbe un atto ostile». Passa un giorno ed è il presidente del Consiglio Conte a proclamare in modo esplicito che «il Tav non si farà più».
I promotori dell’opera, i loro sponsor politici, l’establishment affaristico finanziario che la sostiene e i grandi media che ne sono espressione entrano in fibrillazione e gridano alla scandalo, diffondendo fake news su penali miliardarie a carico dell’Italia in caso di rinuncia all’opera. Dopo una notte di riflessione interviene il ministro dell’interno Salvini gridando ai quattro venti che il Tav si farà. Nessuna sorpresa. Che Salvini sia, in versione scamiciata e urlante, il rappresentante nel governo dei poteri economici del Nord è noto (del resto lo avete mai sentito, sul Tav, dire cose diverse da Renzi e Delrio o discostarsi dalla narrazione di Stampa e Repubblica?). E che non ci siano governi amici il movimento No Tav lo sa e lo proclama da sempre. Tutto vero, ma restano i nodi politici: il futuro del Tav, la consistenza del M5Stelle di fronte allo strapotere dell’alleato leghista, la vera natura del prof. Conte (presidente del Consiglio o ventriloquo a voci alterne?). In attesa di venirne a capo, alcune puntualizzazioni.
La Torino-Lione è priva di ogni utilità economica. Lo era fin dalla sua ideazione alla fine del secolo scorso. Lo è doppiamente oggi. La linea storica è utilizzata per un quinto delle sue potenzialità e i traffici (ferroviari e stradali) sulla direttrice est-ovest sono in continuo calo. Lo ammette persino l’Osservatorio della Presidenza del Consiglio riconoscendo che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, sono state smentite dai fatti». Per sostenere l’opera i proponenti ne modificano in toto le ragioni giustificatrici adducendo la necessità di un «ammodernamento» della linea di cui non vengono documentati i benefici. In realtà la prosecuzione del progetto si spiega, oggi, solo con le esigenze di immagine di un ceto politico che sarebbe travolto dall’abbandono dell’opera e con gli interessi di corto respiro di chi pensa che da cantieri aperti per decenni (una riedizione della Salerno-Reggio Calabria) verrebbe, comunque, un po’ di ossigeno a un sistema economico collassato. Essendo tali motivazioni poco ostensibili, le mosse dei promotori mirano a mettere le istituzioni di fronte al fatto compiuto.
Per questo si stanno accelerando i tempi degli appalti per i lavori sulla tratta internazionale (per un importo complessivo di 5,5 miliardi) pur in assenza di alcuni requisiti indispensabili, segnalati in apposita diffida di tecnici e amministratori. In parallelo continua la campagna terroristica fondata sulla bufala di ingenti penali conseguenti alla rinuncia all’opera, mentre nessuna penale è prevista in documenti sottoscritti dall’Italia o può derivare da inadempienze contrattuali (posto che, ad oggi, non sono stati banditi né, tanto meno, aggiudicati appalti per opere relative al tunnel di base).
Né – superfluo dirlo – ha maggior fondamento cercare di giustificare nuovi sprechi con quelli (di circa un miliardo e mezzo di euro) già consumati in danno dei cittadini con opere propedeutiche.
In questo quadro la strada è una sola. Passare dalle parole ai fatti e aprire immediatamente il confronto con il Governo francese sull’opportunità di proseguire nell’opera. Sapendo che la Francia, a differenza di quanto si dice, è anch’essa ferma a lavori per «discenderie» e non mostra alcuna fretta nel procedere, manifestando dubbi destinati a crescere se l’Italia metterà sul tappeto, insieme all’inutilità dell’opera, l’evidente iniquità di una distribuzione delle spese per la tratta internazionale (57,9 per cento a carico dell’Italia e 42,1 per cento a carico della Francia benché il tunnel insista per l’80 per cento in territorio francese) prevista al solo scopo di rendere appetibile l’impresa per un partner riluttante (l’argomento potrebbe sembrare secondario, ma non è il ministro Salvini a ripetere ogni giorno, a proposito e a sproposito, «prima gli italiani»?).
* Fonte: Livio Pepino, IL MANIFESTO
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