by Martina Nasso, Marco Tonelli * | 19 Luglio 2018 10:23
La procura è intervenuta dopo la fuoriuscita di esalazioni dalla raffineria Api. Gli studi epidemiologici effettuati hanno concluso che qui si è più esposti al rischio di tumori, malattie dell’apparato circolatorio e respiratorio, malformazioni congenite
Falconara Marittima è assediata: a sud il porto, a ovest l’aeroporto e a nord la raffineria dell’Api. La città è uno dei due Sin delle Marche, sigla che indica quei siti sotto tutela dello Stato, perché gravemente inquinati. Secondo l’ultimo studio «Sentieri», realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, il rischio di morte nei 45 siti di interesse nazionale o regionale, nel periodo 2006-2013, è stato superiore del 4-5% rispetto alla media nazionale. Che a Falconara si muoia di più, però, era già noto. Lo dicono le diverse indagini epidemiologiche condotte dal 2001 in poi e lo conferma un’anticipazione del registro tumori regionale resa nota nei giorni scorsi. Nonostante questo, i controlli delle istituzioni sono insufficienti e non sono state messe in campo azioni di prevenzione sanitaria.
SALUTE DIMENTICATA. Nel corso di una riunione che si è svolta venerdì 13 luglio tra comitati cittadini (Mal’Aria e Ondaverde onlus), Arpam, Azienda sanitaria regionale (Ars) e Comune sono stati anticipati con delle slide e in via pre-ufficiale alcuni dei primi – e vecchi – dati del registro tumori, relativi al triennio 2010-2012. Il report, però, diviso per Comuni, non è ancora disponibile. Doveva essere pubblicato entro fine giugno, ma così non è stato. Questi dati sono fondamentali per stabilire se vicino a una specifica fonte di inquinamento ci si ammala di più e di che tipo di tumori. «Abbiamo chiesto i dati dettagliati sulla nostra città – spiega Mirco Fanelli, docente di patologia molecolare dell’Uniurb e membro di Mal’aria – e hanno risposto che li troveremo nel report completo che dovrebbero consegnarci a breve, ma finché non li vedo non ci credo. Sono anni che aspettiamo». Gli unici dati specifici anticipati su Falconara riguardano il tumore del colon-retto, della mammella, del polmone, della pleura e alcune leucemie, e hanno confermato un eccesso di rischio.
INDAGINI, MA POCHE AZIONI. Negli ultimi 18 anni, sono stati effettuati tanti studi epidemiologici sulla salute dei cittadini del comune marchigiano. Queste indagini hanno già concluso che chi vive lì è più esposto al rischio di sviluppare tumori, malattie dell’apparato circolatorio e respiratorio, malformazioni congenite e molto altro. Nel 2003 la Regione Marche promosse un’indagine epidemiologica analitica con la tecnica caso/controllo – che consiste nella selezione di soggetti malati e non per valutare l’esposizione a uno o più fattori di rischio – presso la popolazione residente nei dintorni della raffineria. Dallo studio, affidato ad Arpam, sotto la direzione scientifica dell’Istituto Nazionale Tumori, emerse un eccesso di rischio di morte per leucemia e linfomi non Hodgkin, tra il 1994 e il 2003, per pensionati, casalinghe e non occupati che avevano trascorso più tempo in casa in prossimità della raffineria dopo almeno dieci anni di esposizione. Secondo gli esperti, però, sarebbe necessario attivare un’indagine analitica più significativa, «di coorte», che si basa sulla selezione di soggetti esposti e non a fattori di rischio seguiti nel tempo per valutare l’incidenza delle malattie, ma i costi sono elevati e nessuno l’ha ancora promossa. Interpellata sul punto, Api si è detta disponibile a discuterne la realizzazione con gli enti competentI.
OLTRE LA SORVEGLIANZA. A Falconara, finora, poco e nulla è stato fatto anche in un’ottica di prevenzione sanitaria, sia primaria – che mira a evitare che la malattia insorga – sia secondaria – che si concretizza nella diagnosi precoce. Nel corso della riunione del 13 luglio, l’Ars ha proposto a Comune e comitati di abbassare di cinque anni lo screening per il tumore del colon-retto, che rientra tra quelli in eccesso a Falconara. Una misura insufficiente. «Non è questa la soluzione. Certo che più controlli vanno bene, ma dovrebbe essere il minimo», spiega Fanelli.
L’Aia nonostante tutto. Lo scorso 11 aprile, nella raffineria Api, un problema a un serbatoio ha provocato la fuoriuscita di esalazioni. L’emergenza è finita dopo alcuni giorni, ma in seguito alle denunce dei cittadini, la procura di Ancona ha aperto un’indagine nei confronti di 16 persone, tra cui l’amministratore delegato della raffineria Giancarlo Cogliati. L’incidente si è verificato alle soglie del rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) dell’impianto, che vale 12 anni ed è concessa dal ministero dell’Ambiente. L’11 maggio, l’ex ministro Galletti ha firmato il rinnovo dell’Aia, ma con il possibile riesame alla luce dell’esito delle indagini sull’incidente e degli approfondimenti richiesti dal Comune agli enti sanitari regionali. Inoltre, il ministero ha chiesto ad Api di trasmettere la lista delle sostanze emesse in atmosfera e la mappa di ricaduta delle stesse entro settembre. Insomma, l’autorizzazione è stata concessa, ma con riserva.
DUE ANNI FA, il 15 giugno 2016, la direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, aveva espresso parere contrario al riesame dell’Aia precedente (2010) chiesto dall’azienda per effettuare una modifica impiantistica. Per quanto riguarda l’impatto delle emissioni nell’aria. «Si ritiene di non avere rassicuranti informazioni riferibili agli impianti di raffineria e all’effettivo livello di esposizione cui sono soggetti gli operai e la popolazione residente», scriveva già allora il ministero. E la situazione, negli anni, non è mutata. Controlli e mancanze. Per effettuare indagini più accurate, è necessario sapere cosa esce dall’impianto e dove va a finire.
I soggetti responsabili dei controlli sono due: Ispra e Arpam. Il primo si occupa della raffineria, il secondo del territorio circostante. Ispra ha un ruolo fondamentale per quanto riguarda la concessione dell’Aia: monitora, tra le altre cose, le emissioni delle sostanze inquinanti e verifica i modelli di ricaduta delle stesse. Secondo l’ex dirigente Arpam Mauro Mariottini, non ci si dovrebbe accontentare dei modelli presentati dall’azienda, perché parziali, ma realizzarne di autonomi, «in modo da poter capire se quello che dice il privato è congruo con quanto riportato». Per il dirigente Ispra Gaetano Battistella invece, tali modelli sono sufficienti perché rispettano la normativa e, per questo motivo, Ispra, per il rinnovo dell’Aia, non ha ritenuto necessario farne di propri.
SUL TERRITORIO CIRCOSTANTE sono le centraline per il monitoraggio della qualità dell’aria di Arpam ad accertare la presenza di sostanze inquinanti. Come denuncia da tempo il comitato Mal’aria, però, alcune di queste funzionano male e, altro aspetto importante, non coprono il centro città. «Se la direzione dei venti spinge le esalazioni verso il centro, perché lì non ci sono centraline?», si chiede Fanelli.
Falconara è una piccola città sulla costa adriatica e dista più di 300 km da Roma, eppure quello che accade qui dipende per lo più da quanto deciso nelle stanze del governo. «In gioco ci sono interessi economici e occupazionali molto forti, e, tante volte, l’aspetto ambientale e sanitario passa in secondo piano. Il ministero si è trattenuto tutte le grosse industrie, come anche l’Ilva, e le controlla lui, quindi a livello locale l’influenza è marginale», conclude con amarezza l’ex Arpam Mariottini.
* Fonte: Martina Nasso, Marco Tonelli, IL MANIFESTO[1]
photo: Di Luca Boldrini (Flickr: falconara api) [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], attraverso Wikimedia Commons
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