Rivolta femminista in Spagna per un’altra sentenza shock

Rivolta femminista in Spagna per un’altra sentenza shock

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MADRID. «Il governo del Psoe, il più femminista della storia, è lo stesso che ci chiede di rispettare la condanna di Juana Rivas o la messa in libertà della #manada. Non abbiamo cacciato il Pp per rimanere allo stesso punto. Continueremo a lottare fino a raggiungere le condizioni di vita che ci spettano. Non ci calpesteranno! Libertà per #JuanaRivas». Si legge sulla pagina facebook del collettivo femminista di Madrid Libres y Combativas.

TUTTO IL MOVIMENTO femminista spagnolo si è subito autoconvocato di fronte al ministero di Giustizia a Madrid, e in tante altre città, per manifestare contro quella che chiamano giustizia patriarcale. È la reazione alla sentenza, non definitiva, della settimana scorsa, che condanna Juana Rivas a 5 anni di carcere per sottrazione di minori, a pagare 30mila euro al suo ex-marito come risarcimento, al pagamento di tutte le spese processuali e all’interdizione per 6 anni dalla potestà genitoriale, per non aver restituito i figli a Francesco Arcuri, l’ex-marito italiano, da lei accusato di maltrattamenti. Difficile un riassunto delle tante puntate precedenti e la storia non manca di colpi di scena.

Come accade in molti matrimoni ad un certo punto non tutto fila liscio. Dopo un primo figlio c’è una denuncia a Francesco Arcuri per maltrattamenti, la condanna, una separazione, ma poi i due tornano insieme. Poi nasce un secondo figlio, vivono sull’isola di Carloforte, in Sardegna, dove gestiscono un b&b. Ma Juana Rivas non ce la fa, torna in Spagna con i due figli, con il pretesto di una visita alla sua famiglia, vorrebbe restare lì con loro. Qui denuncia di nuovo Arcuri per maltrattamenti. Si susseguono problemi di competenze giuridiche tra la Spagna e l’Italia, troppi ritardi nelle traduzioni degli atti giudiziari. La giustizia italiana, chissà perché, ancora oggi non si pronuncia su quei maltrattamenti. Intanto l’ex-marito rilancia e sporge denuncia per sottrazione di minori e i figli, dopo un tira e molla legale, tornano in Italia dal padre che continua a negare qualsiasi abuso e sostiene di essere vittima di una campagna mediatica ostile.

ORA C’È LA SENTENZA del giudice Manuel Piñar, ma duramente criticata da più parti. È stato facile per lui decidere se ci sono stati maltrattamenti o se Juana Rivas è una donna bugiarda che ha sottratto i figli al padre. Per lui Juana Rivas è una bugiarda e una cattiva madre. La sentenza nega l’esistenza di violenza di genere, ma le denunce non sono state analizzate, forse spetta all’Italia farlo o forse le prove presentate non sono credibili. Ci vorrebbero indagini ulteriori. La giustizia spagnola ha unità di indagine forense specializzate sulla violenza di genere e l’Andalusia, il foro competente, ne vanta una tra le più operative. Ma Juana Rivas e i suoi figli non sono mai stati interrogati. Dire che non c’è violenza senza indagare abbastanza diventa allora un sopruso, un messaggio per tutte. I collettivi femministi spagnoli hanno fatto della vicenda di Juana Rivas una battaglia contro quella giustizia misogina che applica le leggi ignorando l’obbligo di integrare la prospettiva di genere. In questo caso il giudice Piñar ha volutamente ignorato la prima condanna per maltrattamenti e addossa a Rivas la responsabilità di non aver denunciato il marito negli anni vissuti in Italia. Quindi, se non c’è una denuncia, non esistono neanche vessazioni, abusi, minacce, pericoli. Come se fosse facile denunciare, in più con due figli piccoli, quando c’è un clima costante di paura e ricatto, come quello descritto da Juana Rivas.

ANCHE LA AMJE, l’Associazione delle donne giudici di Spagna, in un comunicato, critica la sentenza e avverte della «persistenza di stereotipi nel lavoro giudiziario».

Le giudici spagnole parlano del «rischio di consacrare un’ingiustizia manifesta». E aggiungono «dobbiamo smettere di essere eredi di una giustizia patriarcale che la società non tollera e la comunità internazionale condanna». In Spagna, anche questa volta, sembra una giustizia che condanna una donna per educare tutte le altre.

* Fonte: Marina Turi, IL MANIFESTO

foto: Emilio J. Rodríguez Posada [CC BY-SA 2.0 ], via Wikimedia Commons



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