Nel giorno della Bastiglia. Libertà, Uguaglianza, Fraternità oggi

Nel giorno della Bastiglia. Libertà, Uguaglianza, Fraternità oggi

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Oggi, 14 luglio, è l’anniversario della presa della Bastiglia, inizio simbolico della Rivoluzione francese. Forse mai come quest’anno è una data che deve farci riflettere. Perché contiene una domanda che interpella la coscienza dell’Europa con un’urgenza nuova. Cosa resta di quei principi — Libertà, Uguaglianza, Fraternità — che hanno varcato i confini della Francia, inscrivendosi nel vocabolario della civiltà moderna? Se essi ci parlano ancora, cosa ci dicono? Cosa ci vietano e a cosa ci richiamano? Da quando sono stati formulati in un’Europa ancora chiusa nella gabbia dell’Ancien Régime, la loro vita non è stata facile e il loro sviluppo non è stato simmetrico. Mentre libertà ed eguaglianza hanno goduto, almeno sulla carta, di un credito universale, il principio di fratellanza ha conosciuto ostacoli e passi indietro. Inserito nella Costituzione francese solo nel 1848, ha incontrato una maggiore difficoltà a essere riconosciuto. Essendo più un obbligo morale che un diritto vero e proprio, è risultato più difficile conferirgli un preciso contenuto politico. Contestato prima per la sua origine cristiana e poi perfino per il suo timbro maschile, si è preferito dissolverlo nel nome di una generica solidarietà.
Eppure proprio la fraternità è ciò di cui avremmo oggi più bisogno, in questa Europa divisa da interessi contrapposti, battuta dal vento della paura, arroccata sulle frontiere. Solo quella parola, inascoltata e derisa, potrebbe opporsi alla spirale dell’odio attivata dalla propaganda feroce dei nuovi sovranisti. Non che gli altri due principi della triade repubblicana — libertà e uguaglianza — siano stati portati a compimento. Il mondo contemporaneo è letteralmente squassato da nuove disuguaglianze e infestato da regimi illiberali. Eppure entrambi i principi hanno conosciuto almeno una stagione eroica. L’uguaglianza, il XIX secolo, quando la lotta per il suffragio universale ha ridotto la discriminazione e le lotte sociali hanno modificato i rapporti di forza tra capitale e lavoro. E la libertà, il XX secolo, quando sul canale della Manica le democrazie hanno retto l’urto criminale del nazismo. Prima che si avviasse il processo di decolonizzazione e crollasse l’ultimo muro a Berlino.
La fraternità invece non è mai stata troppo di moda, forse perché non si riferisce, come libertà e uguaglianza, all’individuo, ma chiama in causa la relazione tra i singoli e tra i popoli. Perché in quella parola, che suona eccessivamente sentimentale per essere tradotta in pratica, vibra un’esigenza inafferrabile politicamente e irriducibile giuridicamente. Non per nulla nel Trattato di Lisbona, che nomina i termini di libertà e uguaglianza una trentina di volte, quello di fraternità non ha cittadinanza. Mai come oggi esso tace, sepolto dai rigurgiti populisti, dalle rivendicazioni nazionaliste, dalla vendetta contro il lavoro delle Ong. Mai come oggi il Mediterraneo ha visto galleggiare tanti morti, uomini e donne, adulti e bambini, nel mare, ancora più profondo, dell’indifferenza.
Perciò il XXI secolo dovrebbe essere quello della fraternità. Questo ci dice il 14 luglio. Anche allora, quando l’Assemblea costituente francese allineò quelle tre parole che ancora oggi sono impresse sui frontoni degli edifici pubblici, il mondo guardava in altra direzione. Anche allora la Francia fu sola, tra mille contraddizioni ed eccessi, a difendere la civiltà moderna contro la discriminazione e il privilegio. Per questo quanto è avvenuto a Calais e a Ventimiglia è ancora più inaccettabile. Ma il debito dell’Europa, e del mondo, con la Francia resta grande. Nella storia e anche nella cronaca. Che domenica la Francia giochi la finale dei Mondiali con la sua splendida squadra interetnica non farà piacere ai razzisti europei. Ma dà un’emozione in più a coloro che non hanno smesso di amarla.

Fonte: Roberto Esposito, LA REPUBBLICA



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