L’Italia fuori dalla «top ten» europea dell’industria
I nostri grandi gruppi industriali tornano a crescere ma l’Italia è «fuori» dal campionato europeo della manifattura: nessun big con sede nel nostro Paese quotato in Borsa è presente fra i primi 10 primi player continentali. Exor in questa classifica è terza (era sesta nel 2003) ma ha quartier generale in Olanda e per trovare la prima italiana si deve scendere al 64esimo posto con Leonardo. E c’è solo una nostra «squadra» che può scendere in campo nella Champions League: la manifattura privata, che cresce più dei big degli altri Paesi, privi o quasi di industria pubblica. Debolezze e punti di forza dell’impresa-Italia, seconda manifattura d’Europa, sono delineate nella 43esima edizione dell’Annuario R&S, realizzato dall’Area studi Mediobanca.
Dal confronto con l’Europa, appunto, la manifattura italiana esce con le ossa rotte. I ricavi dei 10 primi big player pesano sul Pil del proprio Paese per il 24,6% in Germania, il 15,7% in Germania, l’8,3% in Gran Bretagna e il 5,2% in Italia. Ogni mille persone attive, in uno dei più grandi gruppi manifatturieri ne lavorano 20 in Germania, 13 in Francia e 5 in Italia. Cinque sui 10 big europei hanno sede in Germania. I primi tre grandi, Volkswagen, Daimler e Bmw, fatturano da soli più dei primi 10 big italiani complessivamente. I top 10 tedeschi valgono come giro d’affari la metà del Pil del nostro Paese e capitalizzano quanto Piazza Affari. Chi guida la classifica dei ricavi dei nostri top 10 della manifattura, Fca Italy, sarebbe nona in Germania , seconda in Gran Bretagna e sesta in Francia. E l’Italia è ultima in classifica per crescita del giro d’affari: dal 2013 al 2017 i top 10 tedeschi (primi) hanno aumentato il fatturato del 19,5% mentre in Italia (ultimi) l’incremento è stato del 10,7%, frutto di una forbice: nei big pubblici il fatturato è sceso del 17%, mentre in quelli privati ha registrato un aumento record del 34,5%. A guidare la graduatoria per variazione nel periodo indicato del giro d’affari è Fca Italy con il 68,1% (senza la quale i privati sarebbero cresciuti del 12,7%), seguita dalla pubblica Fincantieri con il 31,5%. Ultimo il nostro Paese è pure in termini di investimenti, dove i top 10 tedeschi sono primi per 426 miliardi e i «nostri» chiudono la fila con 18, e per utili: i profitti cumulati nel 2013-2017 dai top 10 sono stati in Germania 210 miliardi, in Gran Bretagna 142, in Francia 119 e in Italia 5.
Dentro ai nostri confini, i primi 42 gruppi industriali italiani hanno registrato nel 2017 per la prima volta dopo tre anni una ripresa del 6,6% del giro d’affari complessivo, che vale 370 miliardi. Alla crescita, trainata soprattutto all’export, ha contribuito anche il settore energetico (più 11,3% sul 2016) grazie alla risalita del greggio. Oltre un terzo dell’aggregato fa capo a Enel ed Eni, rispettivamente al primo e secondo posto nella graduatoria dei 42 big player italiani. Seguono Poste e Fca Italy. Dal 2003 al 2017 i 42 gruppi con sede in Italia hanno cumulato utili per 46 miliardi, dei quali oltre un quarto realizzati dall’Enel (12,3 miliardi) che si conferma «campione» di profitti. E hanno reso dividendi per 51,3 miliardi, con capofila è Eni con 16,71 miliardi, seguita da Enel con 8,5. Lo Stato ha incassato 11,2 miliardi.
* FONTE: Sergio Bocconi, CORRIERE DELLA SERA
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