L’Europa dei muri. Così la marea nera rischia di dilagare
by Andrea Bonanni | 11 Luglio 2018 15:08
L’Europa non ha più lo stesso volto, la stessa fisionomia che aveva solo quattro o cinque anni fa. E non è solo una questione di colore politico, ma di più complessiva egemonia culturale. La finta emergenza dei migranti, oggi al centro della riunione informale dei ministri dell’interno della Ue a Innsbruck, apre un solco anche all’interno dei partiti tradizionali, che peraltro sono già in crisi. A volere la chiusura delle frontiere non ci sono solo i populisti dell’ultra- destra come Salvini, o i reazionari polacchi di Jaroslaw Kaczy?ski. Ci sono i bavaresi di Seehofer, gli ungheresi di Orbán e gli austriaci di Kurz, che sono tutti membri del Ppe. Ma c’è pure il governo slovacco, che è guidato dai socialdemocratici.
Negli ultimi dieci anni, dallo scoppio della crisi finanziaria, la mappa politica dell’Europa è cambiata sia nella conformazione sia nella natura dei movimenti e dei partiti. I populisti e i sovranisti hanno registrato quasi ovunque una crescita costante. In Francia la Le Pen è arrivata al ballottaggio per le presidenziali, e solo l’inedita formazione di Macron è riuscita a fermarla prosciugando i partiti tradizionali. In Germania AfD è entrata per la prima volta in Parlamento e i sondaggi la danno in crescita. In Polonia il Pis governa indisturbato e ha lanciato l’offensiva finale contro i pilastri dello stato di diritto. In Austria il Partito delle Libertà è al governo ed è riuscito a imporre i propri programmi e la propria “ cifra” politica agli alleati del Partito popolare, come in Italia la Lega egemonizza un governo di cui pure è membro di minoranza. Ma ciò che sta cambiando in misura ancora più determinante il panorama politico è la trasformazione dei partiti tradizionali. I socialisti e socialdemocratici sono in ritirata, con l’eccezione forse della Spagna. Il Pse, che è sempre stato il secondo gruppo politico al Parlamento europeo dopo il Ppe, rischia alle prossime elezioni di farsi superare non solo dalla coalizione dei partiti populisti, ma anche dai liberali che potrebbero allearsi con Macron. Il discorso politico della socialdemocrazia sembra non riuscire più a toccare le corde di un elettorato trasformato dalla crisi economica.
Sul fronte del centro- destra, la metamorfosi è ancora più evidente. In Gran Bretagna il trauma della Brexit ha diviso i conservatori, di cui una parte consistente ha mutuato toni e parole dei populisti dello Ukip di Nigel Farage. In Austria il giovane leader dei popolari, Kurz, ha saccheggiato contenuti e proposte del programma elettorale del Partito delle Libertà. Il capofila del movimento sovranista e anti Ue in Europa, l’ungherese Viktor Orbán, è iscritto allo stesso Ppe in cui milita la sua avversaria Angela Merkel. I democristiani bavaresi della Csu fanno apertamente concorrenza ai loro tradizionali alleati della Cdu. Persino in Spagna il movimento Ciudadanos si è spostato a destra e drena i voti del partito popolare. Quanto all’Italia, si è assistito nel volgere di pochi mesi alla cannibalizzazione di Forza Italia da parte della Lega. E oggi l’unico leader italiano del Ppe, Silvio Berlusconi, si trova sospeso in un limbo politico che minaccia di diventare un deserto elettorale.
Quello che ancora non emerge, con l’eccezione della Francia, è la capacità della classe politica democratica ed europeista, intrappolata nelle vecchie logiche di partito, di intraprendere una metamorfosi corrispondente a quella che le destre hanno portato a termine. Con la conseguenza che, alle prossime elezioni, la marea nera potrebbe dilagare ovunque in Europa.