La tedesca Thyssenkrupp si fonde con l’indiana Tata e lascia l’acciaio per l’hi-tech
by Tonia Mastrobuoni | 1 Luglio 2018 17:40
« Duro come l’acciaio Krupp » era uno dei motti adorati da Adolf Hitler. A Essen, nella Villa Huegel della potentissima famiglia di industriali del metallo, dei discendenti del mitico Alfred Krupp, il Fuehrer era di casa, esattamente come lo era stato l’imperatore Guglielmo II. E persino dopo la riabilitazione post-nazista, dopo che i Krupp erano finiti a Norimberga sul banco degli imputati, la dimora della famiglia celebrata anche da Luchino Visconti continuò ad essere meta adorata da molti capi di Stato che passavano per l’allora capitale tedesca Bonn. I Krupp continuarono ad essere una sorta di ministero degli Esteri ombra, quando erano guidati da Berthold Beitz, il Gianni Agnelli tedesco.
Adesso quel leggendario cognome sarà separato per sempre dal destino dell’”oro” della Ruhr – troppo instabile, troppo esposto alla concorrenza internazionale e, più di recente, ai dazi di Donald Trump. Insieme a un altro cognome legatissimo all’acciaio nell’aristocrazia industriale tedesca, Thyssen. Ieri il gruppo nato dalla fusione dei due imperi tedeschi, Thyssenkrupp ha formalizzato il merger con l’indiana Tata. Dopo due anni di negoziati serrati, è nato ufficialmente il secondo colosso europeo del settore dopo ArcelorMittal, un gruppo da 48mila dipendenti sparsi in Germania, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi.
Tuttavia Thyssenkrupp ha fatto sapere che parteciperà con il 50% al nuovo gruppo che avrà il suo quartier generale ad Amsterdam e che si sgancerà quasi del tutto dall’acciaio per concentrarsi sulla produzione di ascensori, componentistica auto, sottomarini e impianti industriali. Per la Germania, è la fine di un’era.
La sfida della fusione con Tata e l’allontanamento dal core business è stata lanciata del numero uno del gruppo Heinrich Hiesinger, che già al suo arrivo, nel 2011, aveva messo in chiaro che l’acciaio avrebbe perso rilevanza. Negli anni successivi Hiesinger ha imposto una cura dimagrante all’azienda rimpicciolendola da 180 mila a 157 mila dipendenti, ma dopo aver visto branca americana inghiottire miliardi di perdite, Hiesinger ha cominciato a vendere. Prima, nel 2013, si è liberato dell’acciaio americano, quattro anni dopo di quello brasiliano. L’inizio della fine di una lunga tradizione.
Fonte: Tonia Mastrobuoni, LA REPUBBLICA[1]
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