La Grecia brucia. I tagli alla Protezione civile erano nel pacchetto austerità
In teoria, tra pochi giorni doveva venire il momento delle pacche sulle spalle. Il primo momento, dopo nove anni, in cui il governo greco non avrebbe più dovuto prendere ordini dal resto d’Europa e il resto d’Europa non avrebbe più dovuto darne. La voglia di rivendicare il lavoro fatto era percettibile appena sotto la superficie. Dopotutto 4 primi ministri di ogni tipo — centrosinistra, centrodestra, tecnocrati, populisti — ha eseguito sotto dettatura qualcosa che letteralmente non è mai accaduta nella storia economica: correggere in otto anni il saldo di bilancio del 16% del reddito nazionale — da un profondo deficit al surplus — mentre il reddito tracolla del 29%. E poco importa se quel crollo, unito al rifiuto di condonare ciò che palesemente non è rimborsabile, ha fatto esplodere il debito in proporzione a un’economia ormai ristrettasi. Gli investimenti sono stati falciati a un terzo di quelli di un Paese normale.
Nessuno credeva che tutto questo fosse pensabile, prima che l’Unione europea lo imponesse a un Paese di poco meno di 11 milioni di abitanti (ne ha persi mezzo milione nel frattempo). Per questo quando ad agosto la Grecia uscirà dal terzo programma di assistenza della Ue e del Fondo monetario internazionale, dopo 14 manovre di austerità, la tentazione a Bruxelles, a Berlino o negli ambienti di governo ad Atene era evidente: congratularsi con se stessi per essere arrivati fin qui. Almeno, finanziariamente ancorati a qualcosa.
Se mai fosse stata una piccola festa, ora sarà impossibile. Di fronte a catastrofi come quella di ieri in Attica, affrettarsi a dare giudizi e sentenze di colpevolezza non ha senso. Però, quando il fumo si sarà dissipato, i fatti conosciuti probabilmente susciteranno alcune domande. L’ultimo taglio al ministero della Protezione civile, dal quale dipendono i vigili del fuoco in Grecia, è arrivato con il quattordicesimo pacchetto di austerità a primavera dell’anno scorso. L’area della sorveglianza antincendio ha perso allora 34 milioni di euro, distribuiti fra il personale e i mezzi.
È difficile dire oggi se quell’ennesima sforbiciata su un’infrastruttura civile del Paese spieghi, almeno in parte, ciò che riferiscono alcuni testimoni dall’area più colpita dalle fiamme: a lungo non si è visto nessun intervento, niente elicotteri o aerei antincendio, nessun piano di evacuazione. I vigili del fuoco sono arrivati molto dopo. A migliaia fra loro a febbraio del 2017 avevano manifestato ad Atene perché la fine dei contratti a termine stava riducendo il loro numero da 12 mila a 8 mila. Da allora sono stati riassunti circa metà di coloro che erano stati fatti scadere. Ma quella di ieri è solo la più grave, non la prima volta che le loro squadre si trovano senza mezzi né preparazione per gestire l’aggressione del fuoco attorno ad Atene. Era già successo nel luglio 2015 e di nuovo 11 mesi fa.
Proprio in quel momento tre ricercatori greci, guidati da Fotis Chatzitheodoridis, stavano pubblicando uno studio sui pompieri del loro Paese in una rivista internazionale di nutrizione. Risultati: il 79% fra gli addetti delle squadre antincendio risultava sovrappeso o obeso, due su tre confessavano di essere passati negli ultimi anni ad alimenti meno sani a causa dei tagli ai salari. Non è il simbolo di cui la Grecia aveva bisogno proprio adesso, ma ricorda la fragilità di un Paese che arriva prostrato a questo punto di svolta. Il lento ritorno alla normalità è la superficie. Qualunque evento si discosti da essa può riportare un’intera nazione fra i suoi fantasmi.
* FONTE: Federico Fubini, CORRIERE DELLA SERA
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