Individuato l’uomo che sparò alla bimba rom, sei casi in un mese, ora è allarme
by GIUSEPPE SCARPA e FABIO TONACCI * | 25 Luglio 2018 16:32
Roma. Può essere che il signor Marco, ex impiegato del Senato, con il suo fucile ad aria compressa abbia davvero sparato il colpo sbagliato al momento sbagliato nella direzione sbagliata. E che, dunque, ci sia da maledire solo l’imprudenza del gesto e la sorte della traiettoria se quel piombino, partito dal suo terrazzo, abbia centrato, sette piani più sotto, la scapola destra di una bambina rom di 13 mesi, conficcandosi in una vertebra a pochi centimetri dal cuore. Colmo della sfortuna, proprio mentre lei stava attraversando, in braccio a sua madre, un varco nella rete sgangherata che cinge la pineta sotto al palazzo del signor Marco. Può essere. Se non fosse che, da un paio di mesi, il tiro al migrante con carabine ad aria compressa pare essere diventato l’ultima declinazione della xenofobia da strada.
«Ma io volevo solo provare l’arma » , si giustifica ora il 59enne, scapolo e senza figli, interrogato dai Carabinieri che lo hanno trovato dopo aver sottoposto il proiettile alle armerie della zona. « Non ho mirato a quelle persone, non ho mirato a niente. È stato un colpo accidentale » . Per adesso, in assenza di telecamere che possano documentare il contrario, la pm di Roma Roberta Capponi gli crede: l’uomo, infatti, è indagato per lesioni gravissime senza l’aggravante del movente razziale. « Dobbiamo prima fare altri accertamenti per valutare se c’è stata intenzione » , spiegano gli inquirenti.
Una delle perizie dovrà stabilire, ad esempio, se il fucile del pensionato (che in casa aveva anche una pistola soft air e non aveva materiale che faccia pensare a simpatie per movimenti estremisti) sia stato modificato artigianalmente per superare il limite di 7,5 joule di potenza sotto il quale non serve avere il porto d’armi. La distanza coperta dal piombino, e il danno subito dalla bimba (non è più in terapia intensiva, ma rischia di rimanere paralizzata), sono assai sospetti.
Come detto, però, non è il primo caso. È già successo. Da giugno ad oggi almeno altre cinque volte. Episodi che hanno in comune due cose: l’uso di fucili e pistole ad aria compressa e la scelta di puntarli verso esseri umani ritenuti diversi. Per il colore della pelle, per l’etnia, per il Paese di provenienza, per la follia di un attimo.
L’11 giugno, intorno alle 22, Daby e Sekou, due ragazzi del Mali ospiti in una struttura Sprar del comune di Caserta, vengono investiti da una raffica di colpi di pistola ad aria compressa sparati da una Panda nera in corsa, che già per tre volte li ha avvicinati. Daby è ferito all’addome. In questura racconta che i tre aggressori, durante la scorribanda “in stile Traini”, inneggiavano a Matteo Salvini. Qualche giorno dopo, a Napoli: lo chef Konate Bouyagui, maliano di 22 anni, da 4 in Italia con regolare permesso di soggiorno, mentre torna a casa dalle parti di Corso Umberto si prende un piombino nella pancia sparato da due ragazzi a bordo di una macchina. « C’è un clima di intolleranza contro le persone di colore per colpa della campagna elettorale basata sulla propaganda contro gli immigrati », si sfoga coi poliziotti.
Non è finita. Forlì, 8 luglio: un ivoriano di 33 anni in bicicletta viene affiancato da un’auto, qualcuno dall’interno allunga fuori dal finestrino una pistola modello soft air e gli buca la pancia. Più o meno ciò accade, nella stessa settimana, a una ivoriana di Forlì, ferita a un piede. « Ho sentito un dolore alla gamba, non so cosa è successo». Solo dopo aver superato la paura si convince a denunciare il fatto ai Carabinieri. Ancora l’ 11 luglio, questa volta a Latina: vittime due nigeriani che aspettavano l’autobus a Latina Scalo. «Sembra chiara la matrice discriminatoria » , commenta il sindaco Damiano Coletta. Da ultimo, Roma, martedì 17 luglio: il signor Marco alle due del pomeriggio « per provare l’arma » spara dal suo terrazzo al settimo piano della palazzina di via Lizzani, non lontano da Cinecittà. Una bambina rom finisce in ospedale.
Carabinieri e polizia sono molto cauti nell’accostare i sei casi a un mutato zeitgeist del Paese, un nuovo spirito dei tempi fomentato dai toni violenti e “auto-assolutori” di certa politica su temi sensibili quali, appunto, l’immigrazione. Al momento le statistiche del Viminale non hanno dati consolidati che testimonino l’aumento dei reati d’odio nel Paese dai giorni caldi dalla campagna elettorale in avanti. Certo, sei ferimenti con armi ad aria compressa in due mesi non sono pochi. Sono un inedito anche per le forze di polizia. Nessuno, infatti, si sente di escludere del tutto che possano essere indice di un più ampio fermento xenofobo
* Fonte: GIUSEPPE SCARPA e FABIO TONACCI, LA REPUBBLICA[1]