Il culto americano per le armi da fuoco nel Paese dei 100 morti al giorno

by VITTORIO ZUCCONI * | 17 Luglio 2018 15:53

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WASHINGTON. Più armi da fuoco, più morti innocenti. Tutto qui. Bambini, studenti, familiari, bersagli di stragisti, suicidi, incidenti, questa semplice equazione che da 40 anni la lobby americana delle armi cerca di nascondere spendendo tre milioni all’anno per sopprimere ricerche e comprare parlamentari, dovrebbe essere l’inizio e la fine di ogni illusione e di ogni discussione sulla “difesa a mano armata”. Ma non lo è.

Avvinghiata alla Costituzione che sembra — ma nel tempo l’interpretazione è variata — concedere a ogni cittadini il diritto di portare armi e appesa al falso senso di sicurezza che stringere in pugno il calcio di un’automatica o imbracciare un fucile semiautomatico produce — lo so, l’ho provato, è un sentimento intossicante — la “gun culture”, la cultura della pistola, vende legalmente dieci milioni di armi da fuoco ogni anno per 12 miliardi di dollari. E delle 36mila persone che cadono sotto i colpi al ritmo di quasi cento al giorno, la percentuale di criminali violenti fermati da cittadino armato per legittima difesa, o per legittimo sospetto, è microscopica, ridotta a qualche caso aneddottico. Quella pistola, quell’AR, il fucile d’assalto, uccidono chi li possiede più che chi li aggredisce.
Non basta un articolo di giornale per riassumere e illustrare i 62 studi accademici migliori, quelli che non servono cioè interessi o pregiudizi politici, selezionati dagli anni ’90 a oggi, per dimostrare la ovvietà di un rapporto di causa ed effetto che la logica illustra e la paura nasconde dietro l’illusione dell’autodifesa.
Dal 1992, quando il Centro per il Controllo delle Malattie di Atlanta tentò di completare senza successo una ricerca definitiva sulla relazione fra armi e vittime e fu aggredito dalla Nra, la lobby degli armaioli che scatenò una campagna nazionale accusando il Centro di «scienza spazzatura», la diffusione delle Glock, Colt, Armalite è cresciuta. E con essa il numero di vittime, confermando un antico proverbio: “Quando un proiettile lascia la canna non ha più amici o nemici, ma soltanto bersagli”.
I casi singoli — il padre che fredda in Texas il figlio che rientrava a casa di nascosto nella notte scambiato per un intruso, il bambino che gioca con la pistola di papà, la lite familiare per “futili motivi” che degenera in sparatoria per la presenza di un’automatica in casa — non escono neppure dal nido delle notizie locali. Esplodono invece le stragi, quelle che un tempo prevedevano almeno quattro vittime per essere definite tali e oggi sono scese a tre morti, vista la diffusione, che increspano la superficie dell’opinione pubblica, accendono lumini, producono marce e omelie, prima che l’acqua si quieti e tutto torni come prima. Con un effetto paradossale: se la politica o l’opinione pubblica si agitano e mostrano segni di risveglio dall’incantesimo a mano armata, la vendita di armi schizza in alto.
Nel 2016, quando l’elezione di Hillary Clinton, favorevole a una limitazione del commercio, sembrava imminente, gli armaioli vendettero cifre record, 12 milioni di pezzi.
È un gorgo irresistibile, nel quale ogni tentativo di introdurre elementi di moderazione senza intaccare l’apparente dettato della Costituzione viene inghiottito e che la lobby alimenta, senza fare distinzione fra Repubblicani e Democratici. Perché nessuno, negli stati del Sud, rischia la trombatura per denunciare l’insensatezza ci norme che permettono in alcuni casi di portare con sé le armi nascoste e autorizza a sparare nel “sospetto” di essere minacciati.
Non ci sono politici progressisti o conservatori che osino prendere di petto la lobby che ora sta raggiungendo anche il governo italiano attraverso Matteo Salvini, ma non soltanto perché hanno le tasche profonde e la spregiudicatezza di usare senza pudore. Non osano perché il dogma del libero possesso di armi è ormai nel tessuto della cultura popolare.
Se smagliature si aprono, come accadde dopo il massacro dio Parkland, in Florida, che ha portato centinaia di migliaia di giovani a Washington per piangere e promettere mobilitazione, le volpi della politica, a partire da Trump idolo della lobby, spendono qualche buona parola, invitano a pregare, promettono qualche lodevole modifica a norme che permettono anche ai casi psichiatrici di acquistare armi e poi aspettano che il mare si calmi.
Le ricerche dicono che soltanto fra i giovanissimi sotto i 24 anni, l’opposizione alle armi è forte, ma con l’aumentare dell’età il richiamo del West torna e gli anziani vogliono restare aggrappati alle loro pistole e fucili, fino a quando «qualcuno me le strapperà dalle mie mani fredde» come disse Charlton Heston, il “mosè” che divenne il volto e la voce mistica degli spacciatori di armi. E i vecchi, a differenza dei giovani, votano, garantendo la maggioranza ai pro-gun.
L’illusione dell’autodifesa, della propria casa trasformata in fortezza, è troppo seducente, troppo elementare, soprattutto nel tempo della paranoia sapientemente sfruttata e moltiplicata dalle infezioni dei Social e delle notizie false, contro le orde di assassini, stupratori, gangster, rapinatori riversati dalle invasioni apparenti di immigrati illegali.
Un’anziana signora aggredita da un immigrato fa esplodere la collera e fa fiondare cittadini da armaiolo per spendere i 1200 dollari necessari per un fucile semiautomatico o i 200 per una Glock, la pistola preferita del momento. Su quell’aggressione, la lobby costruirà cattedrali di paura, monumenti di voti e camionate di dollari. Sui bambini della elementare del Connecticut stroncati da un giovanotto armato (dalla mamma) come Rambo, lumini, veglie e lacrime.

* Fonte: VITTORIO ZUCCONI, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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