Giuseppe Berta: «Futuro grigio per gli Agnelli: l’eredità di Marchionne è un macigno»

Giuseppe Berta: «Futuro grigio per gli Agnelli: l’eredità di Marchionne è un macigno»

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“Il suo ultimo piano industriale è semplicemente una visione: non specifica dove e quando verranno prodotti i modelli. E sull’elettrico siamo al caro amico”

Giuseppe Berta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Voglio subito dirvi che ho trovato l’editoriale di Marco Revelli molto intelligente e non condivido le critiche che vi stanno facendo». Giuseppe Berta è il massimo storico dell’industria in Italia, insegna alla Bocconi e ha conosciuto direttamente Sergio Marchionne: «Mi prendeva in giro dicendo che prima di prendere decisioni leggeva i miei commenti, non come Elkann che invece mi dice sempre che li tratto male».

Professor Berta, conoscendolo da vicino, che uomo è Sergio Marchionne?

A parte le sue capacità finanziarie indiscusse, era un grandissimo negoziatore. Così riuscì ad uscire dall’accordo con General Motors appena diventto amministratore delegato, così è riuscito a comprare Chrysler con i soldi di Obama. Era un uomo solo al comando, non ha mai creato una squadra. E questo peserà per forza nel futuro di Fca.

Che Mike Manley fosse il suo prediletto però era abbastanza scontato. Come ha gestito la famiglia Agnelli questa improvvisa accelerazione per la successione?

L’ha gestita molto male. Da giorni anch’io sapevo che le condizioni di Marchionne si erano aggravate – pensi che anch’io mi sto curando da un linfoma e volevo scrivergli per condividere l’esperienza – e quindi la situazione era a rischio da tempo. Per questo sapendo che la scelta di Manley (o chi per lui) era stata fatta, dovevano prevedere un periodo di affiancamento, di gestione del passaggio. Che invece ora pagheranno tutto perché i mercati di tutto il mondo erano abituati alle invenzioni di Marchionne; di Manley abbiamo visto solo qualche video mentre presenta una Jeep.

Nel frattempo ha sbattuto la porta Alfredo Altavilla, responsabile Emea e unico italiano papabile. Un brutto colpo per l’Italia in prospettiva.
Era scontato che lo facesse. Era già stato trattato male all’Investor Day del primo giugno e ha tratto semplicemente le conseguenze. Il problema ora per Fca è molto serio e parte proprio dal piano industriale lasciato da Marchionne.

In che senso, professore? I sindacati firmatari si sentono garantiti dai tanti nuovi modelli previsti…

Nel senso che più che un piano industriale Marchionne ha presentato uno scenario industriale. Ha semplicemente elencato obiettivi e enumerato marchi e modelli: un piano industriale vero invece deve specificare dove e quando saranno prodotti i modelli. Gli analisti più importanti lo hanno definito «disfunzionale» perché mancava di sinergie. Anche rispetto agli investimenti siamo al caro amico: per recuperare il ritardo sull’elettrico servivebbero cifre molto più alte di 9 milardi.

Il ritardo tecnologico di Fca sull’elettrico è molto pesante rispetto ai marchi giapponesi e tedeschi. Meno di un anno fa Marchionne sosteneva fosse più redditizio puntare sul metano.

Marchionne non era un fanatico di auto come tanti in questo mondo. In questo senso ha sbagliato la valutazione e ora toccherà a Manley cercare di recuperare.

La questione alleanze è l’altro tema irrisolto per Fca.

Fino a fine 2014 era possibile allearsi con una big americana, magari lanciando anche un Opa ostile. Oggi il cambiamento tecnologico è così veloce che ormai non ha più senso, puoi fare solo accordi limitati. Oppure allearti con un gigante come Google o Tesla, ma poi tu sei il braccio e loro sono la mente.

Marchionne non lo ha voluto fare.

Le racconto un aneddoto. Eravamo nel pieno dello scontro con la Fiom, dicembre 2010, prima del referendum di Mirafiori. Gli chiesi: «Ma è necessario fare tutto questo ambaradan sui diritti dei lavoratori?». Lui mi rispose: «Mi è imposto dall’alleanza americana, i miei stakeholders vogliono che le performance delle fabbriche siano comparabili e le condizioni contrattuali europee sono migliori».

Mi sta dicendo che il taglio dei diritti è colpa di Obama?

No, le sto dicendo che la globalizzazione è entrata in gioco e ha condizionato l’esito. Anche se non totalmente: a quel punto Marchionne puntava a sottrarre Opel a Gm, ma fu il blocco tedesco ad impedirglielo: Merkel, lander e il sindacato IgMetall si unirono facendo muro sostenendo che loro facevano macchine migliori. Una cosa impensabile in Italia, dove dell’industria dell’auto non interessa a nessun governo.

Da quel momento però lei ha sempre sostenuto che l’asse di Fca era fortemente spostata in America.

Certo e continua ad esserlo. Per l’Italia l’alternativa migliore per rilanciare la produzione sarebbe che gli Agnelli vendessero il marchio Fiat (500, Panda) a un produttore finale cinese. Diversamente la vedo grigia.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO



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