Dopo Marchionne. Le prospettive industriali di FCA
Di fronte a un sistema politico-mediatico che saluta in Marchionne un grande eroe nazionale, mentre sottolineiamo che certamente ci dispiace della sua malattia, ci permettiamo di ribadire che molte delle sue azioni non ci sono a suo tempo piaciute e di pensare che la sua strategia si ritrova oggi in un mare di difficoltà.
Certo Marchionne ha salvato la Fiat dal baratro, suo merito indiscutibile, ma lo ha fatto trasformando, con l’assenso anche di una parte del sindacato, i lavoratori quasi in paria, cosa che non era affatto necessaria; rispetto ai loro colleghi tedeschi e francesi essi in effetti non solo guadagnano di meno, ma hanno anche meno diritti.
Il gruppo ha poi abbandonato l’Italia come quartier generale senza neanche dire grazie, dopo che per tanti anni esso vi aveva ricevuto tanti favori. Anche in questo caso ci sono molte multinazionali di tutti i paesi che continuano ad avere i loro quartier generali nel fondo di qualche oscura provincia e questo non sembra essere un problema.
La lista delle promesse non mantenute nel tempo è lunga e la ripetiamo anche se è già stata ricordata: quella di arrivare a produrre sino a 7 milioni di vetture, mentre oggi siamo sui 4,7 milioni; di grandi investimenti nel nostro paese, che non si sono poi visti; di una produzione da noi di 1.400.000 vetture all’anno, mentre siamo a 750.000; del reintegro di tutti i cassaintegrati, cosa che non si è verificata e ancora di 400.000 Alfa all’anno, con otto nuovi modelli (siamo a 110.000 con due modelli). Intanto in Italia oggi l’azienda occupa 29.000 persone, mentre nel 2010 se ne contavano ancora 190.000, anche se va considerato lo scorporo delle attività confluite nella Cnh.
Come è noto, il mondo dell’auto è entrato in un turbinio molto forte e che sta scuotendo anche i valori più consolidati, quali quelli dei grandi produttori tedeschi, che amano i cambiamenti lenti e pianificati e che si ritrovano invece di fronte, tra l’altro, agli attacchi lampo dei nuovi barbari, sotto la veste delle imprese digitali Usa e cinesi, che minacciano persino di trasformare le vetture in un semplice telefonino con (forse) quattro ruote.
Mentre i governi si sono finalmente decisi a richiedere che le emissioni delle vetture siano fortemente ridotte, sta arrivando l’auto elettrica, alla quale sino a poco tempo fa Marchionne dichiarava di non credere, nonché l’auto a guida autonoma, mentre si affermano nuovi modi di fruizione dell’auto, in particolare l’affitto a breve termine invece dell’acquisto e qui sono al momento vincenti le aziende tipo la statunitense Uber o la cinese Didi Chuxing (si tratta di un mestiere che le case dell’auto non conoscono; ora provano ad impararlo quelle tedesche, mentre la Fiat non sembra neanche pensarci). Infine l’Asia sta diventando sempre più il cuore del sistema, ma in tale continente il gruppo è presente con livelli di produzione risibili.
Più in generale, rispetto a questi grandi mutamenti la Fca di Marchionne non ha sino ad oggi fatto quasi nulla. E’ come se il manager abbia pensato après moi le deluge, ciò che probabilmente coincideva con la volontà della famiglia di vendere tutto in prospettiva.
Peraltro il nuovo piano industriale promette per il futuro rilevanti investimenti nell’auto elettrica e ripropone le 400.000 unità vendute per l’Alfa, con tanti nuovi modelli. Per quanto riguarda la prima mossa, si può credere a tale nuovo impegno? E, d’altro canto, gli stanziamenti saranno sufficienti o forse non è ormai troppo tardi? Per quanto riguarda la seconda, il gruppo Alfa/Maserati dovrebbe creare un polo del lusso in grado di contrastare i produttori tedeschi e giapponesi, ma le vendite non corrispondono in nulla ai proclami.
Questa è certamente una cosa spiacevole dal momento che il gruppo ha annunciato che non produrrà più auto piccole in Italia; pensare di sostenere l’occupazione negli stabilimenti nazionali solo con Alfa, Maserati e un po’ di Jeep appare un’impresa disperata. Sembra facile prevedere (ma speriamo di sbagliarci) che si cercherà presto di chiudere nel nostro paese almeno uno stabilimento.
Intanto però è stata messa sul mercato la Magneti Marelli – cuore del know-how nazionale nel settore e punto centrale di una possibile strategia di rilancio dell’auto italiana -, nell’indifferenza generale dei media e dei politici. Certo, questa volta non si trattava di scatenarsi contro i pur modesti ritocchi che Di Maio vuole apportare al famigerato jobs act, né di indignarsi perché i francesi volevano toccare Berlusconi. Il risultato è che la Magneti Marelli potrebbe ad esempio essere preda di Elliott, il terribile fondo avvoltoio che è stato salutato qualche tempo fa da cori osannanti perché era intervenuto a sostegno del Cavaliere.
L’unica strategia seria per il nostro paese sarebbe quella di difendere il rilevante insieme di competenze e capacità presenti nel gruppo, a partire da Magneti Marelli e Comau, sino a quelle interne a Fca, sulle quali bisognerebbe però investire molto. Questo anche se può sussistere il dubbio che le competenze portate dalle nuove tecnologie sovrasteranno quelle tradizionali. Ma bisognerebbe perlomeno provare.
* Fonte: Vincenzo Comito, IL MANIFESTO
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