ZURIGO. La parola cade a metà pomeriggio come un sasso: “irreversibile”. Ma è solo una triste conferma. La situazione di Sergio Marchionne è irreversibile, com’era purtroppo chiaro già venerdì, quando John Elkann era volato alla Clinica Universitaria di Zurigo per prendere atto di un dramma senza ritorno.
La lotta del manager contro la morte prosegue nel reparto di terapia intensiva dell’Universitätsspital, la cittadella della salute a due passi dal centro, presidiata ieri dagli agenti della sicurezza in una giornata di luce diafana e alla fine, verso sera, piovosa. Ma non c’è stato alcun assalto, neppure le visite dei parenti degli altri ricoverati che la domenica, qui, non sono previste. E l’ospedale, come se fosse una specie di azienda, per il mondo esterno semplicemente chiude.
Come scritto ieri dal presidente di Fca in una lunga nota ai dipendenti, Sergio Marchionne non potrà più tornare. Si è ancora aggravato. Ed è con sgomento che la famiglia e tutti i collaboratori devono confrontarsi con una realtà impensabile solo qualche giorno prima, mentre altri particolari del ricovero confermano che tutto è precipitato quasi senza avvisaglie.
Marchionne aveva raggiunto Zurigo da Ginevra il 28 giugno, utilizzando il jet personale e non un’eliambulanza. Non era dunque in pericolo di vita né in emergenza, anche se chi lo ha visto entrare in ospedale lo ha definito stremato, fisicamente sfinito. Una netta sensazione di stanchezza Marchionne l’aveva data già il 26 giugno, nel corso della sua ultima uscita pubblica per la consegna della Jeep all’Arma dei Carabinieri: i filmati di quel giorno confermano che l’ex amministratore delegato di Fca parlava con fatica, senza riuscire a nascondere evidenti difficoltà respiratorie. Sergio Marchionne, inoltre, appariva appesantito e gonfio in viso.
Ma neppure questo lasciava immaginare un epilogo tanto drammatico. Anche il motivo ufficiale del ricovero, cioè un intervento chirurgico alla spalla destra, non destava particolare allarme; lo stesso Marchionne aveva detto ai suoi uomini che si sarebbe assentato solo per qualche giorno, poco più di una routine medica. E non più tardi del 5 luglio scorso, i suoi collaboratori ancora parlavano di “ un breve periodo di convalescenza” prima di tornare al lavoro. Come già annunciato, Sergio Marchionne avrebbe lasciato Fca ( ma non Ferrari) nel 2019 e prima di raggiungere l’ospedale svizzero neppure lui poteva ipotizzare una simile svolta.
Nonostante la Clinica Universitaria zurighese sia un polo di eccellenza europea in ambito oncologico, pare che nel caso di Sergio Marchionne non si tratti di un tumore. Fonti vicine al manager suggeriscono che qualcosa non dev’essere andato nel verso giusto durante l’operazione, forse già al momento dell’anestesia o subito dopo.
Le complicazioni post- operatorie, che la prassi medica non esclude mai per nessun tipo di intervento, sembravano tuttavia gestibili e così è parso per giorni, fino a metà della scorsa settimana, quando la crisi si è aggravata in modo rapido e perentorio. Troppo tardi, a quel punto, per qualunque controffensiva: il fisico provato di Sergio Marchionne non rispondeva più alle cure, e il manager veniva mantenuto in vita solo grazie alle macchine. Un quadro che ora lascia immaginare un epilogo breve e non certo positivo. Irreversibile.
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