Ceta, bloccare l’accordo tra Europa e Canada per un commercio più giusto
Un anno fa il governo italiano tentava un blitz estivo, in coda di legislatura, per regalare a Bruxelles la ratifica del Ceta. Ce lo chiede l’Europa, dicevano, per dimostrare che ci teniamo, e che siamo diversi dal protezionista Trump.
Eppure se quel trattato di liberalizzazione degli scambi tra Europa e Canada venisse approvato da tutti i Parlamenti degli Stati europei consentirebbe, tra l’altro, alle imprese di tutto il mondo ma con sede legale in Canada di chiedere ai nostri Paesi (quindi alle nostre tasche) pesanti risarcimenti se qualche nostra regola, legge, standard, anche se buona e giusta, in vigore o ancora da fare, danneggiasse i loro investimenti.
Potremmo, per evitarlo, solo difenderci con cause commerciali da 400mila euro in su, oppure rinunciare alla misura.
Con una dura battaglia fuori e dentro il Parlamento, oltre 2500 Comuni Province e Regioni a darci ragione con mozioni e delibere ufficiali, schierando più di 50 comitati locali e oltre 200 organizzazioni piccole e grandi, da Coldiretti alla Cgil, dall’Arci a Slow Food, da Legambiente al Movimento consumatori, Federconsumatori, Fairwatch, Campagna Amica, Ari, Greenpeace, Attac, l’Usb e i Cobas, siamo riusciti a impedirlo e a ottenere che 3/4 degli eletti che oggi siedono in Parlamento si impegnassero, aderendo al Decalogo #NoCETA #Nontratto, di “bocciare il CETA per riaprire un dibattito in Europa sui contenuti e le regole del commercio tra UE e il resto del mondo a partire da diritti, ambiente e coesione sociale”.
Dopo le conferme del ministro dell’Agricoltura Centinaio e dell’Interno Salvini, il titolare dello Sviluppo economico, responsabile del Commercio estero per l’Italia Luigi Di Maio, ha confermato l’impegno del governo italiano a fermare il Ceta quando arriverà in aula.
La dichiarazione arriva a poche ore di distanza dalla scelta del Presidente austriaco Alexander Van der Bellen non controfirmare il trattato, nonostante fosse stato ratificato dal suo Parlamento.
E mentre la Spagna ha detto si, Francia, Germania e Grecia sono alla finestra. Il miracolo dell’export che si sarebbe dovuto verificare, secondo i suoi sostenitori, già dai primi mesi dell’entrata in vigore provvisoria dopo il primo “si” del Parlamento europeo che ha provocato l’abbattimento provvisorio di dazi e dogane, non c’è stato.
Peraltro le province canadesi gli scambi interni, non rinunciano a regolarli e non fanno entrare più merci di prima solo perché glielo chiede il Ceta.
Gli altri governi europei, inoltre, sanno che la Commissione, sventolando lo spauracchio “Trump ci isola”, sta chiudendo un pacchetto di accordi che creano mercati comuni con molti grandi esportatori, anche nostri diretti concorrenti: con il Giappone, i Paesi del Mercosur, il Vietnam, Singapore, l’Indonesia, ma anche Tunisia, Marocco e, sullo sfondo, la Cina.
Accordi che, però, non si giocano su dazi e dogane, ma sulle regole: ciascuno, infatti, crea decine di comitati tecnici all’interno dei quali non hanno voce gli eletti, ma esperti incaricati dalla Commissione Ue che, senza alcuna trasparenza, protetti dal segreto commerciale, limeranno procedure, standard e leggi, democraticamente condivise, che proteggono la nostra salute, l’ambiente e il lavoro, e per questo pesano sulle tasche delle imprese rendendo, oggettivamente, più difficile il commercio.
E’ questa la partita vera, che dobbiamo riaprire, dall’Italia, in Europa: bocciare il Ceta per non permetterlo più, cambiando la struttura del mandato che i nostri Governi affidano all’Ue – cosa possibile fin da subito – per sostenere, con un commercio giusto, le persone, il loro lavoro, la terra, il clima, il futuro. Dobbiamo farlo insieme, con scelte tecniche e atti concreti.
Per questo invitiamo martedì 17 luglio a Roma alla camera, nella sala del Cenacolo di vicolo Valdina, tutti i parlamentari che vogliono lavorarci con noi.
* Fairwatch, portavoce della Campagna StopTTIP/StopCETA
FONTE: Monica Di Sisto, IL MANIFESTO
photo: By M0tty [CC BY-SA 4.0 ], from Wikimedia Commons
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