by Giuliano Santoro * | 31 Luglio 2018 8:20
Dopo colpi di fucile che sparano piombini, pestaggi, aggressioni, è arrivato il morto. Potrebbe essere la prima vittima certificata dell’estate dell’intolleranza. Hady Zuady, cittadino marocchino di 43 anni con piccoli precedenti, è spirato nella notte tra sabato e domenica sulla via Nettunense, nel comune di Aprilia, località Campo di Carne.
Verso le due, la macchina su cui viaggiava ha sbandato. Poi, per qualche minuto, è stata raggiunta da tre uomini italiani, uno di questi è una guardia giurata.
C’è un video raccolto da una telecamera di sorveglianza che mostra i tre che affiancano la vittima ma poco si riesce a vedere di quanto è avvenuto quando l’hanno raggiunta. Gli inseguitori avevano intercettato l’automobile di Zuady a pochi minuti di distanza dal punto dell’incidente, parcheggiata nel loro condominio in atteggiamento considerato sospetto.
«Non abbiamo picchiato nessuno, non c’è stato alcun pestaggio, tantomeno a sfondo razziale», si difendono in lacrime. Negano anche che fossero organizzati in ronde.
«Eravamo sotto casa, saremo state una quindicina di persone tra cui alcuni bambini – è la versione della difesa – Abbiamo visto una macchina appostata al buio e qualcuno di noi si è avvicinato per capire chi ci fosse all’interno. Appena ci siamo mossi l’auto è partita a razzo e ha cercato di investirci».
Siamo nell’agro pontino, provincia di Latina. Imperversa l’abusivismo edilizio e lo sfruttamento nei campi della manodopera migrante. Qui la Lega nella sua veste sovranista ha promosso le «passeggiate» del decoro e della legalità. «Le facciamo anche in quella zona, ma non ci risulta in quel quartiere», dice il coordinatore provinciale Matteo Adinolfi, che viene dalla destra postfascista di Alleanza nazionale.
Due persone sono state individuate e denunciate in stato di libertà per omicidio preterintenzionale. Uno dei due in un primo momento era fuggito, poi si è consegnato ai carabinieri. Si è arrivati a loro dall’esame delle immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona e sulla base di alcune testimonianze.
I militari, per bocca del comandante provinciale, riterrebbero che almeno uno degli inseguitori avrebbe avuto un contatto fisico con la vittima. Ma fanno sapere di escludere che Zuady sia stato vittima di un «pestaggio prolungato» anche se ammettono che la situazione potrebbe essere «sfuggita di mano».
Quando trapela che si starebbe escludendo l’aggravante razziale la sezione locale di CasaPound esulta: «Anche stavolta vi è andata male!».
Qualcuno festeggia, ma si attendono gli esiti delle indagini. Decisiva sarà soprattutto l’autopsia sul corpo della vittima. «Se dovesse essere confermato quanto emerso dalle prime ricostruzioni, ci troveremmo di fronte a un fatto gravissimo. I cittadini devono limitarsi a denunciare i reati, non devono farsi giustizia da soli», dice il sindaco Antonio Terra, che un mese fa col sostegno di una coalizione di liste civiche contro il centrodestra è stato eletto per il secondo mandato.
Aprilia conta 75mila abitanti, tra questi circa 10mila migranti. Per la gran parte si tratta di comunitari, per lo più rumeni. Poi ci sono gli indiani, che lavorano nelle campagne. I nordafricani sono una minoranza esigua. «Solo l’altro giorno avevamo organizzato nel parco principale della città il Festival del cous cous», racconta Terra.
Ora quasi tutti dicono che in via Guardapasso, il comprensorio in cui è iniziato il tragico inseguimento che ha portato alla morte dell’uomo, la situazione non è affatto fuori controllo. C’erano stati solo quattro episodi di furto in alcune auto. Poca roba. «La gente è un po’ esasperata ma siamo in una situazione di normalità», riporta ancora il sindaco.
Dieci anni fa ad Aprilia un tabaccaio aveva colpito alle spalle con un fucile da caccia e ucciso un rapinatore rumeno. In primo grado il pm aveva chiesto 14 anni per omicidio volontario, poi era arrivata la condanna a nove anni, ridotta a tre per semplice omicidio colposo in appello. Dopo anni di allarmismo, ronde proposte e forse realizzate, emergenze dichiarate e ansie mediatiche, la morte di Zuady riporta il territorio a un tragico principio di realtà.
* Fonte: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO[1]
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