by Adriana Pollice | 1 Luglio 2018 9:50
«Si scordino di arrivare in Italia», dice Matteo Salvini. Il ministro degli Interni se la prende questa volta con la ong spagnola Proactiva Open Arms che ieri, al largo della Libia, ha tratto in salvo 59 migranti, tra loro quattro bambini di cui due non accompagnati: erano «alla deriva e in pericolo di vita», spiega l’ong. Salvini nega l’approdo nei porti italiani fin dal mattino, ma a sera dal Viminale arriva una spiegazione che ha tutta l’aria del pretesto: «L’attracco può provocare rischia per la sicurezza», spiega una nota.
Per intervenire l’Open Arms ha deciso di non aspettare l’arrivo della Guardia costiera di Tripoli. Venerdì avevano rispettato l’ordine del Centro di coordinamento di Roma ma, accusano, dopo un ritardo nei soccorsi di un’ora e mezza, i libici hanno trovato in vita solo 16 dei 120 stipati sul barcone, affondato da ore. Ieri sono stati gli stessi attivisti catalani ad avvistare il gommone in difficoltà. Cosa è successo lo racconta l’eurodeputata Eleonora Forenza del Gue, che era a bordo della nave dell’Ong insieme a tre colleghi spagnoli: «Più volte l’Open arms ha contattato le autorità italiane segnalando il pericolo di naufragio, sentendosi rispondere di contattare la Guardia costiera libica. Il mancato soccorso in mare è un reato grave, oltre che un atto disumano. Le persone a bordo ci urlavano ‘No Libia’. A differenza di Salvini, le persone che erano su quel barcone sapevano che la Libia è spesso detenzione, tortura, stupro». Il capitano dell’Open arms ha poi spiegato: «Le autorità libiche non rispondevano né via radio né al telefono. Così Roma ci ha detto che toccava a noi decidere cosa fare». La motovedetta libica è poi arrivata quando il soccorso era già in corso, hanno fatto un’inversione della rotta e sono andati via dicendo alla nave dell’Ong ti tornarsene in Spagna. Il più piccolo dei naufraghi ha appena 9 anni: viene dalla Repubblica Centraficana, era con i genitori, l’equipaggio l’ha messo al posto di comando chiamandolo capitano.
Matteo Salvini ieri mattina ha twittato: «Si scordino di arrivare in Italia. Questa nave si trova in acque Sar della Libia, porto più vicino Malta» innescando così l’ennesima polemica con La Valletta che ha replicato «Basta con le bugie, il salvataggio è avvenuto tra la Libia e Lampedusa». Il direttore operativo della Proactiva, Riccardo Gatti, ha spiegato: «Continuiamo a proteggere il diritto alla vita degli invisibili. La Spagna è lo stato di bandiera della nave, spetta al governo iberico mettersi in contatto con le autorità maltesi, italiane e oltre per trovare un porto sicuro». La nave ha però chiesto di attraccare in Spagna, il Consiglio comunale di Barcellona ha dato la sua disponibilità ma ci vuole il via libera del governo, prudente dopo aver concesso lo sbarco a Valencia dell’Aquarius.
La Ong ha poi messo sotto accusa la gestione dei soccorsi: «Cento persone sono morte venerdì, Open Arms avrebbe potuto salvarle ma è stata ignorata dalle autorità libiche e italiane». Il presidente dell’Ong, Oscar Camps, ha commentato: «Sono affogate davanti alle coste libiche. Però tranquillo, Salvini, non erano italiane. Erano solo ‘carne umana’». Sul sito El Diario Gabriela Sanchez, che è a bordo dell’Open Arms, ricostruisce i fatti: venerdì alle 9 la nave ha sentito, tramite il canale radio 16, l’avviso informale di un aereo militare alla guardia costiera libica, c’era un barcone in pericolo nella zona di Al-Khums, vicino alla costa di Tripoli. Erano a 80 miglia dalla Open Arms ma nessuna comunicazione è giunta alla Ong dal Centro di coordinamento di Roma: «È lontano e hanno avvisato i libici» aveva commentato allora il capitano con la giornalista. Ma alle 10.30 arriva un mayday dal Centro di coordinamento di Malta. Il capo missione, Guillermo Canardo, chiama Roma ma è tardi: i libici erano sul luogo del naufragio, i migranti erano quasi tutti annegati, inclusi tre neonati. «Se ci avessero avvisato in tempo ci saremmo attivati, nonostante abbiamo poco carburante» ha spiegato Canardo. Hanno poco carburante perché Italia e Malta rifiutano l’accesso ai porti alle Ong persino per i rifornimenti.
Ieri i libici hanno riportato indietro 270 naufraghi, 11 i bambini. Sul naufragio di venerdì l’ammiraglio Ayoub Qassem ha spiegato: «La Guardia costiera di Roma non ha responsabilità. Le ricerche sono state interrotte perché non ci sono i mezzi e il personale necessari».
FONTE: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]
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