by Dino Martirano | 19 Giugno 2018 17:12
I rom e i sinti con la carta d’identità della Repubblica italiana — quelli che «purtroppo ce li dobbiamo tenere», secondo lo slogan coniato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini — rappresentano la fetta più consistente della popolazione dei cosiddetti «nomadi» che oscilla tra le 120 mila e le 180 mila unità. Molti meno dei 750 mila «gitani» presenti in Spagna, dei 400 mila residenti in Francia e dei 250 mila registrati nel Regno unito.
Secondo le stime dell’Associazione 21 luglio Onlus, solo una minoranza dei rom e dei sinti (26 mila persone) vive nelle baraccopoli autorizzate e in quella «tollerate». Si tratta dello 0,04% della popolazione italiana. Nelle 148 baraccopoli formali — spesso in condizioni igieniche e ambientali pessime, come denunciato da tutte le autorità europee — vivono 16.400 persone (il 43% sono italiani) mentre nei micro insediamenti «tollerati» risiedono 9.600 rom con passaporto Ue rumeno (86%) e bulgaro. Un nomade su due, nei campi, ha meno di 18 anni, mentre per gli anziani l’aspettativa di vita è di 10 anni inferiore alla media nazionale.
La città preferita dai rom e dai sinti è Roma, con i suoi 17 campi autorizzati e ben 300 mini insediamenti tollerati. A Roma, Napoli e Sesto Fiorentino nuclei di rumeni abitano in immobili occupati. Sono italiani, invece, i 500 rom che vivono in via degli Stadi a Cosenza (edilizia residenziale pubblica) e i 260 residenti nel quartiere Ciambra di Gioia Tauro (dove è stato girato il film «A Ciambra» di Jonas Carpignano). Poi ci sono gli apolidi (circa 3.000) che godono del massimo livello di protezione internazionale.
Non è la prima volta che un ministro lancia l’idea (salvo poi fare marcia indietro) di un censimento su base etnica con rilevazione di impronte digitali. Nel 2008 ci provò il leghista Roberto Maroni con il suo pacchetto sicurezza: «I censimenti su base etnica sono destinati al fallimento come 10 anni fa perché non tollerati dall’Unione europea», dichiara il portavoce della comunità di Sant’Egidio Roberto Zuccolini. E Carlo Stasolla dell’associazione 21 aprile aggiunge: «Il Consiglio di Stato stabilì un risarcimento di 18 mila euro» a chi era stato schedato su base etnica. Ottanta anni fa, ricorda poi Emanuele Fiano (Pd), i rom furono schedati dalla burocrazia fascista e ancora oggi i vecchi ricordano in alcune regioni i campi di internamento specializzati di Agnone, Boiano, Perdasdefogu e Bolzano.
Se il 55% dei rom e dei sinti sono minorenni va da sé che il problema dell’integrazione passa dalla scolarizzazione. Ma l’Italia — nonostante la disponibilità dei miliardi dei fondi strutturali Ue — è assente da tutte le classifiche delle buone pratiche in questo campo stilate a Bruxelles. Finlandia e Irlanda (con i maestri itineranti) hanno fatto passi ragguardevoli per l’inclusione scolastica dei piccoli rom che, invece, nelle città italiane costituiscono in alcuni casi «solo un problema di polizia» legato ai furti nelle strade e nelle abitazioni. Gli ultra minorenni sotto i 14 anni non sono imputabili e gli agenti devono spesso ricorrere alla misurazione del polso per accertare la reale età dei ragazzi fermati.
Ma per arginare i furti servono più maestri che agenti. Anche per questo per il triennio 2017-2019 — come raccomandato dalla Ue — è ripreso il Progetto nazionale per l’integrazione e l’inclusione dei bambini rom, sinti e caminanti promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Gestito ora dal ministro Luigi Di Maio, che è vicepresidente del consiglio. Al pari di Matteo Salvini.
FONTE: Dino Martirano, CORRIERE DELLA SERA[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/06/rom-sono-da-120-a-180-mila-per-lo-piu-italiani/
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